Romanzo catastale
“Selling sunset” su Netflix, ultima di una serie di show a tema immobiliare. E poi inserti e pubblicità. Il mattone è il nuovo cibo?
Finalmente l’immobiliare sostituirà il cibo, è arrivato il momento. Mentre forse si è arrestata l’onda di cuochi e pasticceri che pontificano come filosofi francofortesi tra paste madri e pomodori confit, sarebbe ora di portare sugli schermi quella che pare un’ossessione ben più universale – il real estate.
Chissà quando si faranno però da noi – popolo ossessionato dalla casa – programmi a tema, per esempio una docufiction come “Selling sunset”, da poco uscita su Netflix, dove si assiste alle imprese di cinque immobiliariste di una primaria agenzia losangelina. E’ una Charlie’s Angels immobiliare con queste ragazzotte intente a setacciare annunci e concupire compratori, in cerca soprattutto di viste pazzesche. En passant le signorine hanno anche delle storie d’amore, ma tutte fallimentari fin dagli inizi: una con un toy boy pasticcere (interessante che nella serie lo status di pasticcere venga tenuto in pochissimo conto, segno forse del cambiamento dei tempi); un’altra con un giocatore di hockey che vive dall’altro capo del mondo. Di ogni casa si vede la metratura e si apprende il prezzo richiesto e ottenuto, e ci si affezionerà soprattutto alla villetta o al “condo”, a quella “infinity pool” e a quella cucina a isola, piuttosto che alla tale o tal altra bionda del programma, che sono abbastanza intercambiabili. Le dinamiche sono tra “Sex and the City” e “Mean Girls”, c’è la cattiva e c’è la nuova arrivata, ma non c’è mai la minima scena di sesso, perché appunto tutto si sublima nel voyeurismo immobiliare (e c’è sempre il momento “ti mando tutte le carte via computer”, sogno di una società secolarizzata che ha abolito i sentimenti e i notai, e però dopo arrivano le crisi dei subprime, chissà). In queste società senza Dio il mattone è oggetto di desiderio puro: del resto la serie Netflix è solo l’ultima di un’infinità di programmi dedicati ai cultori dell’immobiliare, e il supplemento apposito del New York Magazine si chiama “Real Estate Porn”; e un recente articolo sull’Atlantic ricorda come “Mansion”, l’inserto del Wall Street Journal, sta nascosto in mezzo al quotidiano, dove una volta si mettevano i giornaletti zozzi, e mostra proprietari e utenti di case milionarie come pornoattori che si gingillano in favore di macchina, e gli annunci, tra castelli e isole private, non hanno intenti commerciali quanto masturbatori. Il porno immobiliare – da non confondere con certe categorie precise (su xvideo la ricerca “real estate milf” produce 231.570 risultati), è possibile però in mercati maturi dove il sesso e il mattone sono considerati una commodity come un’altra: dove si compra casa con Zillow, una specie di Tinder che svela, per cap e indirizzo, passaggi di proprietà, metri quadri, rifacimenti, stime, senza sensi di pudore o colpa. Nei nostri paesi cattolici invece non è ancora avvenuta la sublimazione, le pubblicità si affidano a dei nerboruti ignudi, sbagliando il messaggio, e gli inserti immobiliari sono ancora meramente informativi, la pratica dell’open house di nicchia, i perditempo – zoccolo duro dei voyeur immobiliari – vituperati. Chi vende promette poi non sogni ma solide realtà, rovinando la festa a tutti.
Del resto in Italia la casa è il luogo dell’intimità e dell’identità, non può essere dunque violata dalla finzione televisiva (al massimo, nei programmi si invitano ospiti a cena; ma il sacro vincolo della compravendita, come il momento dell’unzione dei reali inglesi, non è mostrabile in tv; il momento della compravendita è affogato in un processo farraginoso con la burocrazia notarile a certificare la santità del vincolo. E tutti sanno del resto che il rogito è un sacramento molto più sentito che il matrimonio, in chiesa o comune che sia).