Il conte verde
Le donne, l’ambiente, la memoria del poeta. In morte di Vanni Leopardi
Se n’è andato lunedì scorso Vanni Leopardi, discendente diretto del Poeta e custode del palazzo e delle memorie di casa. Malato da tempo, aveva 77 anni. Il conte Leopardi, modi e aspetto romanzeschi, codino, rughe araldiche, era riuscito ad accogliere a Recanati il presidente Mattarella a fine settembre per le celebrazioni dei duecento anni dell’Infinito. Mondano e dannato, redento, con forte attaccamento agricolo, già candidato coi Verdi (che l’hanno ricordato come “un vero aristocratico”), aveva lottato per preservare natura e ambiente nelle terre di famiglia che aveva conservato e modernizzato e nelle amate Marche dove tornava sempre tra le varie residenze sparse nel tempo e nelle occasioni, via Monserrato a Roma e Cà Dario a Venezia. Leggendario tombeur, lo si vedeva in certe feste a Roma ancora negli anni Novanta, anticipato dal mito dei Settanta, quando a lungo passava l’estate a Lindos, insieme all’amico David Gilmour e al fratello Giacomo detto Mimmo, nella casa più ambita dell’isola (ma ultimamente, sempre più local, lo si poteva trovare specialmente al Conero, dove scendeva per colazione al bagno Silvio alle sedici, per non trovare folla, naturalmente in caftano). A Lindos, ancora, aneddoti d’epoca di mariti addormentati con potenti pozioni per sedurre dame in nottate di happening memorabili tra attrici inglesi e principesse scalze. Altre storie: la celebre diretta tv con Carmelo Bene affacciato sulla piazzola del Sabato del villaggio nel 1987, perché Vanni Leopardi si era impegnato per aprire il palazzo al pubblico e per la democratizzazione delle memorie leopardiane; e quando, forse troppo democraticamente, una troupe Rai con Toto Cutugno fu invitata a palazzo Leopardi per un tour, e si sentirono delle melodie famigliari, ed era il cantante che inopinatamente s’era messo a suonare “L’italiano” sulla spinetta appartenuta al Poeta (e la contessa madre Anna per poco non ebbe un malore, mentre Vanni se la rideva). Sulla bara, a Recanati, cinquantuno rose rosse che la figlia Olimpia ha fatto apporre, in nome di “cinquantuno anni d’amore”.