Vezzoli controcorrente
La nuova mostra su Huysmans. La politica, gli intellettuali italiani. E poi Milano, e Roma, che potrebbe addirittura rinascere
Dalla decadenza al decadentismo: il nostro artista più intellettuale e internazionale, Francesco Vezzoli, ha chiuso da qualche mese la mostra romana “Party Politics”, in cui glorie della Prima Repubblica interagivano con star cinematografiche e televisive della stessa epoca, e adesso è già a Parigi, al Musée d’Orsay, con un’altra gran mostra su Huysmans – quell’incredibile personaggio, funzionario al ministero dell’Interno di giorno, e scrittore di “A rebours”, “Controcorrente”, di notte. “Huysmans critico d’arte. Da Degas a Grünewald, sotto gli occhi di Francesco Vezzoli”, si intitola. Perché Huysmans è stato anche e soprattutto il critico che lancia e difende gli impressionisti. “Studiandolo, quello che mi ha veramente affascinato di Huysmans è che è stato come un Argan o un Celant, una figura proprio centrale all’interno della storia dell’arte di un paese”, dice Vezzoli al Foglio. “Severissimo, oltretutto, rigorosissimo. E poi a un certo punto diventa scrittore, e diventa il letterato più importante del suo tempo, quello che inventa il decadentismo, che verrà seguito da Wilde in Inghilterra e poi da D’Annunzio in Italia”. In Italia invece la duttilità non è mai ben vista, siamo in un paese di specializzati e di specializzandi. “Più che altro in Italia è un classico che il grande scrittore sia amico dell’artista scadente; Fellini amico di Rinaldo Geleng. Ecco, Huysmans non sarebbe mai stato amico di Rinaldo Geleng”, continua Vezzoli. “L’Italia – dice – perdona molto, confondendo l’affinità intellettuale con l’affinità emotiva, e alla fine si condanna alla duttilità, perché la duttilità diventa improvvisazione. Così a me non vengono in mente figure italiane che abbiano avuto questa versatilità e questo rigore”. Siamo comunque portati al volemose bene. E a diventare un po’ mitomani, parrebbe. “In fondo Pasolini e D’Annunzio non sono così lontani, se ci pensi. C’è una cultura, la nostra, che io definisco iconopazza, cioè il contrario dell’iconoclasta. A un certo punto, facci caso, l’intellettuale italiano non riesce a non farsi icona. Anche Fellini, anche Visconti. Invece Huysmans stava lì, col suo cappellino, col suo cappottino, pur scrivendo cose incredibili, creando questo dandy omosessuale pazzesco, con la tartaruga tempestata di diamanti” (tartaruga che è stata ricreata da Bulgari in mostra). E all’improvviso si capisce che, come diceva Flaubert, bisogna fare una vita da petit bourgeois per scatenarsi sulla pagina; e si capisce anche che parlando di Huysmans Vezzoli forse parla di sé stesso, e della sua opera esagerata e scalmanata, della sua mitologia a colori, abbastanza senza uguali: mentre la sua vita, se non proprio da borghese flaubertiano, è in fondo, o appare, quella placida di un serio lombardo nella sua uniforme nera (però di Prada, almeno).
A proposito di Lombardia, se si dà retta alla moda, ormai a Milano ci sono anche le palme e tra un po’ si troverà pure il petrolio. “Milangeles”, sogghigna Vezzoli. Non si starà esagerando? “Ah, guarda. Io su questo sono di parte. Sette anni fa ho lasciato l’America per tornare proprio a Milano. E non c’era stato ancora l’Expo, e tutti nel mondo dell’arte mi dicevano: perché lo fai? Eppure ho un affetto speciale per questa che è la meno bella delle città italiane, ma alla fine è la sorella più bruttina, che però ha tirato fuori le unghie. La città ha trovato una serie di sindaci che sono stati in grado di avere una buona dialettica coi suoi imprenditori, a partire dalla Moratti”.
E la povera capitale, dove pure vieni spesso? “Come sai io ho per Roma un grande amore e ci vedo un grande potenziale. Se Roma incontrasse sulla sua strada il suo Calenda col suo Nicolini potrebbe risbocciare. Del resto lo dico sempre: è la città dove correrei immediatamente a vivere, se non fosse che per il mio universo lavorativo ha troppo pochi sbocchi. Ma bastano dei bravi amministratori, e tutto può ripartire”.