Terrazzo
Camere separate
Vita avventurosa di Cini Boeri. Il design, i premi, la milanesità, i figli famosi, la sinistra. E quell’ossessione per l’autonomia
Se n’è andata il giorno dei compassi d’oro, e come coincidenza già basta. E’ stata ricordata con una cerimonia laica, ma sotto il portico della basilica di Sant’Ambrogio: non dentro, ma neanche fuori del tutto, e questo spiega già molto del mondo di Cini Boeri, designer e architetta quasi centenaria, morta il 9 settembre. Non funerale ma appunto cerimonia laica – come ha lasciato scritto – sotto il porticato di Sant’Ambrogio, luogo caro ai Boeri e che lei amava molto, come racconta il figlio Stefano al Foglio: il nonno infatti era amministratore della parrocchia, e la famiglia ha sempre vissuto lì, nella piazza, prima da una parte e poi dall’altra. E poi la coincidenza col Compasso d’oro, lei che l’aveva preso per un celebre divanone, lo Strips di Arflex. C’era Milano a salutarla, a Sant’Ambrogio, oltre ai figli e ai nipoti. Mancava misteriosamente il sindaco, o un gonfalone, o un inviato ufficiale, del comune, chissà perché. La Cini l’anno scorso aveva preso pure l’Ambrogino d’oro, battendo persino Mahmood. Ma è nel nome che risuonava tutta la sua storia milanesissima: lei si chiamava infatti Maria Cristina Mariani Dameno, e Maria Cristina era il nome, Mariani il cognome della famiglia cristianissima, il Dameno era invece il padre naturale che lei scoprì solo da adulta: avvocato-donnaiolo, e pure di destra, in una vicenda romantica-trasgressiva tutta all’ombra di Sant’Ambrogio e della sinistra più chic milanese. Di qui, alla “Cini”, che stava per “picinin”, perché era la più piccola dei fratelli, nascerà la passione “per l’autonomia”, spiega Stefano, archistar e già assessore a Milano. “Occorre tenere conto della rivoluzione che sta avvenendo all’interno della famiglia”, scriveva la Cini in “Le dimensioni umane dell’abitazione”, nel 1980. “La donna angelo del focolare è finita, è stata sostituita da un individuo che ha pari responsabilità, doveri e diritti degli altri componenti della famiglia”. In ogni casa che costruiva, ci metteva camere separate per gli sposi, anche contro la volontà del committente.
L’ossessione per le “camere separate”, le deriva da un femminismo che si trova a sperimentare di persona lavorando con patri-archistar come Gio Ponti e Marco Zanuso (“ci vogliono i coglioni per fare l’architetto”, soleva dirle lui). Ma lei va avanti per la sua strada, nelle sue case mette di default la doppia camera, anche davanti alle proteste dei committenti, rivendicando autonomia architettonica-esistenziale. “La Cini” fa infatti il Politecnico in anni in cui “l’architettura non è una cosa da donne”, come le dice Giuseppe de Finetti. Camere separate anche nella celebre casa della Maddalena, la “casa bunker”. Le ceneri andranno proprio alla Maddalena, luogo che amava molto, dice Boeri.
L’amore per l’isola nacque negli anni Sessanta, quando “andammo lì in vacanza nel 1961, i miei si innamorarono del luogo e nel 1966 Cini fece una prima casa, poi nel 1967 appunto la casa bunker. Che nasce come luogo dell’autonomia, quattro locali totalmente separati, con uscite indipendenti, e con uno spazio interno in cui interagire: ma poi proprio in quell’anno i miei si separano”. Le camere si separano definitivamente. Cini aveva sposato il neurologo Renato Boeri, fondatore della Commissione nazionale laica di bioetica e soprattutto capo partigiano del gruppo Giustizia e Libertà (che poi un giorno si separerà scappando con un’altra icona milanese, la fotografa Grazia Neri, ma i rapporti resteranno sempre ottimi anche con i figli). “Famiglia repubblicana, il nonno Boeri, senatore; Ferruccio Parri fu testimone di nozze, poi il senatore diventa lombardiano, vicino al Pci”. La coppia sarà un riferimento della sinistra milanese. Poi Cini dopo la separazione si fidanza con Vando Aldrovandi, detto Al. “Oltre a essere cognato di Giulio Einaudi, la sua libreria in galleria Manzoni era un punto d’incontro della sinistra, da Amendola a Pajetta a Napolitano. E poi quelli del Piccolo Teatro, più allegri”. L’impegno politico non è mai mancato a casa Boeri: negli anni Ottanta furono tra i cento sostenitori del circolo Società Civile di Nando dalla Chiesa. Con loro, un concentrato di milanesità in purezza, creativo-giudiziaria: Giorgio Bocca, Ilda Boccassini, Gherardo Colombo, Piercamillo Davigo, Krizia, Livia Pomodoro. “Sono stata iscritta al Partito comunista e poi a tutte le forme che il partito prendeva fino ad oggi, al Pd” ha detto al Corriere della Sera. A Napolitano, che l’ha insignita della massima onorificenza repubblicana , la gran croce al merito della Repubblica, ha detto “Non la metterò mai”. “Vorrà dire che la metterà se verrò a cena da lei” ha risposto l’ex capo dello Stato. Umbratile, energica, ha continuato a disegnare anche in questi ultimi mesi, racconta il figlio, che coi fratelli Sandro e Tito sono autobiografia di milanesità. Il più grande è anche il più defilato: Sandro, nato nel 1950, oggi in pensione, è stato direttore di Focus. Stefano, archistar con l’ossessione della politica, nato nel 1956, presidente della Triennale di Milano; e Tito (1958), il più giovane, l’economista di casa, il più mediatico presidente dell’Inps che la patria abbia mai avuto.
I piccoli Boeri hanno avuto un’infanzia peculiare: tutti e tre impegnatissimi nel movimento studentesco, con Stefano addirittura “katanga” cioè membro dei corpi d’élite del servizio d’ordine. La casa, di piazza Sant’Ambrogio, costantemente aperta. Una casa normale, in affitto, ampia e spaziosa ma niente lussi da bauscia, una casa chiaramente da architetto, con una personalità, ma niente di che. Mentre “la Cini” disegnava i suoi mobili e le sue case, a prendersi cura dei giovani Boeri però c’era un personaggio d’eccezione, un domestico detto, un po’ per scherzo un po’ perché quella era la sua funzione,“il maggiordomo”. “Non era un maggiordomo”; dice oggi sorridendo Boeri: “Era un ragazzo della Maddalena che aiutava lì e che mia madre fece venire a Milano”; ci sono leggende secondo cui il maggiordomo sardo aveva preso con molta serietà il compito di allevare i rampolli Boeri, che chiamava “i signorini”, e rispondeva al citofono con accento sardo molto calcato, dicendo “i signori-nni scendonno su-bbito”, e spesso questo maggiordomo sardo accompagnava poi anche i signorini-katanga ai cortei, che seguiva da dietro, in auto, perché non succedessero brutte cose. Boeri ex signorino dice che no; “più che maggiordomo era cuoco, ed è stato molto importante per noi, e quando mio padre se n’è andato è diventato come una seconda madre per noi” (casa Boeri meriterebbe una serie tv, è chiaro, perfetta anche per risollevare il morale cittadino dopo il Covid).