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Tutto quello che avreste voluto sapere sul turismo ma non avete mai osato chiedere
Il nuovo ministero istituito dal governo Draghi ha l'occasione di diventare asse istituzionale, arbitro capace di comporre interessi diversi per fare il bene di un settore travolto dall'emergenza attuale. Ma attenzione a trattarlo come attività da pro-loco: il turismo è una scienza
Tra le primissime azioni del nuovo governo c’è stata la re-istituzione del ministero del Turismo, soppresso nel ’93 con un referendum inequivocabile. L’emergenza della attuale congiuntura lo ha fatto individuare come lo strumento giusto per far fronte alla devastazione economica del crollo dei grandi flussi che ha desertificato le città italiane e ha rivelato in modo crudele l’inanità di un modello basato sullo sfruttamento destrutturato dall’economia reale di città che hanno l’unica colpa di essere meravigliose e che ora appaiono per quel che sono divenute: malinconici parchi giochi abbandonati. Nonostante le altisonanti affermazioni del turismo come “impresa nazionale” o economia strutturale; nonostante l’oscillazione continua della forma organizzativa da statale a regionale a minutamente locale, quell’assordante clamore fu pari solo agli scarsi risultati ottenuti.
Ma lo Stato? Come si è posto? Le soluzioni degli ultimi governi risultano sufficientemente vorticose da essere significative. Nel 2008 fu posto nelle competenze della presidenza del Consiglio dal governo Berlusconi; nel 2009 lo stesso Berlusconi lo trasformò in ministero; come tale confermato da Monti; con Letta passa ai Beni culturali per una scelta più di risparmio che strategica; qui confermato da Renzi e Gentiloni con la continuità di Franceschini; con il Conte 1 passa all’Agricoltura (lobby degli agriturismo?). Comunque dell’inversione non ci si accorse; con il Conte 2 di nuovo ai Beni culturali: anche qui il cambio fu irrilevante nei risultati. Il turismo, che nella sua meccanica genera piacere, che suscita una gamma infinita di domande per il bisogno di spendere, che è aperto, è dinamizzante, è pacifico, non trova pace.
Sembra non esserci chiarezza insomma su come sia da affrontare e intendersi il turismo, ed è evidente che si tratta di una funzione molto discussa. E travagliata. Quale forma organizzativa è più adatta? Statale o locale? Quale categoria intellettuale è abilitata a occuparsene? Esiste una competenza scientifica per governare il turismo? Su questo le soluzioni italiane sono quanto meno contraddittorie: è cosa da beni culturali? Da agricoltura? Da settore sportivo o ludico? Rientra nelle problematiche dello spettacolo? Come sempre, sarebbe sufficiente studiare per trovare le risposte necessarie nel campo specifico delle scienze del turismo. Che non sono quelle dell’hotellerie anche se strutturata in management e che viene confusa, o forse surrogata anche in sedi autorevoli, con la – ahimè ignorata – disciplina scientifica.
Il turismo è una scienza e non conviene affatto trattarla come attività da pro-loco concepita come sfruttamento parassitario di singoli oggetti, i cosiddetti “beni culturali” divenuti feticci di luoghi denominati “città d’arte” o “centri storici” ma che non sono altro che “parchi a tema” destinati all’abbandono, allo scarto residuale allorché qualunque imprevisto interrompa la corrente. E la desolazione delle nostre città che hanno scelto la scorciatoia della minuta imprenditoria parassitaria al posto di un’economia strutturata è lì a dimostrarlo. E’ necessaria quindi chiarezza.
Poiché il tipo di produzione conseguente il turismo è prevalentemente di servizi e benessere, rientra nel settore delle industrie creative: quell’ambito cui tradizionalmente l’economia pura non riconosceva dignità, dopo averne a lungo negato la consistenza. Ma questa è una reazione di pregiudizio ormai superata: alla prova dei fatti, ha ottenuto il riconoscimento di economia a tutti gli effetti, con una propria consistenza produttiva. Di per sé il turismo non è essenziale: essendo un lusso, pone la sfida di organizzarlo come un lusso di massa, finanziariamente accessibile senza perdere la sintomatologia del lusso (quello esclusivo ha già i suoi modelli e metodi). Peraltro è un’economia molto flessibile e adattabile alle situazioni sociali e geografiche. Per questo è rischiosissimo irrigidirla, per esempio regolamentandola in eccesso. Una impostazione come Agenzia interconnessa con le varie discipline di riferimento piuttosto che come ministero avrebbe forse favorito una più agile funzionalità e meglio rispettato la volontà popolare. Ma ora esiste e se saprà esprimere queste condizioni sarà asse istituzionale, arbitro capace di comporre interessi diversi senza entrare in competizione con essi: presupposto che le scienze del turismo postulano come necessario equilibrio tra un arbitro esclusivamente statale e una imprenditoria esclusivamente privata.
Clamoroso esempio fra le tante assenze di tale equilibrio fu il caso dei Bronzi di Riace, su cui ci si è lacerati se dovessero stare in Calabria o a Roma Caput Mundi (cosa che avviene costantemente, anche in questi giorni in Sardegna). Sfugge che la soluzione giusta è stata ottenuta solo dall’ambito culturale, precisamente della scienza archeologica che non ne ha sbagliata una, dalla loro identificazione al loro restauro alla loro conservazione, sino al loro ritorno a Reggio dopo restauro ed esposizione al Quirinale (’81). Ritorno che coincise con un culmine di legislazione e relativi finanziamenti della Regione Calabria per migliorare l’accoglienza turistica. In particolare era divenuta operativa una legge regionale di recentissima emanazione (n.23/1980: “Provvedimenti per l'incentivazione turistico ricettiva” con modifiche successive) che prevedeva contributi finalizzati alla promozione e all’incentivazione dello sviluppo turistico della Calabria da parte di enti pubblici territoriali, privati, associazioni formalmente costituite, imprenditori. Erano destinate a opere di costruzione, completamento, ampliamento, ammodernamento di alberghi (con l’esclusione della categoria “lusso” e prima), pensioni, locande, villaggi turistici a tipologia alberghiera, ostelli per la gioventù, campeggi, case per ferie, rifugi montani, esercizi della ristorazione; così come opere sportive e comunque complementari agli impianti ricettivi e para ricettivi. Risultato: quei provvedimenti sono stati il motore della massima intensificazione dell’attività edilizia selvaggia, speculativa, con ogni tipo di destinazione fuorché l’efficacia ricettiva; anzi con effetto irrimediabilmente repulsivo sul turismo, dati gli orrori creati. Nessun provvedimento infrastrutturale sulla accessibilità regionale. Per contro fino pochi anni fa negli aeroporti di Pechino e Shanghai poteva capitare di imbattersi in immense pubblicità luminose su spazi costosissimi: “Visitate la Calabria”.
Dunque, senza bisogno di commenti, l’unico ambito che ha funzionato è stato quello dei Beni culturali, che tra studio archeologico, restauro e organizzazione del museo ha prodotto il meglio semplicemente perché opera con scienze specifiche confrontabili tra loro; al contrario un settore privo di protocolli scientifici gli ha creato attorno il disastro degli equivoci. Pertanto dire che nei Bronzi è insito un potenziale di sviluppo per l’intera area geografico-sociale è un luogo comune che non contiene alcun elemento di effettiva realizzabilità: è una mera, imprecisa e confusa percezione, seppure legittima. Ma quali altre scienze sarebbero state necessarie per trasformare un’aspirazione in un fatto? Non una scienza politico amministrativa e una scienza economica da sole, ma una applicazione concreta e specifica sulla congiuntura e sul luogo di tutti questi ambiti scientifici generali. Vi era questa possibilità? Probabilmente no. Certamente mancò il contributo di una scienza del turismo in grado di raccogliere tutte queste capacità finalizzandole allo scopo della creazione di sviluppo, profitto privato e benessere pubblico. Senza tutto ciò, l’istituzione pubblica si mette in competizione con l’interesse privato senza le necessarie competenze ma con il riparo dell’irresponsabilità propria del settore pubblico che non corre il rischio d’impresa. Il difetto principale delle esperienze italiane è il potere pubblico che, invece di dare le regole, prima diventa arbitro e poi giocatore, pur essendo un tifoso da divano che non sa giocare una partita vera.
Anna Coliva
storica dell’arte