Terrazzo
Leonessa d'Italia (e del Brasile)
Leone d'oro speciale alla carriera a Lina Bo Bardi
La Biennale di Venezia ricorda l’architetta romana allieva di Gio Ponti (e anche “stalinista” e “antifemminista”)
Sarà attribuito a Lina Bo Bardi il Leone d’oro speciale alla memoria della diciassettesima Biennale di architettura di Venezia, che aprirà il 22 maggio.
Nella motivazione del curatore Hashim Sarkis: “Se esiste un architetto che meglio di ogni altro rappresenta il tema della Biennale Architettura 2021 questa è Lina Bo Bardi”, ha detto Sarkis. “La sua carriera di progettista, editor, curatrice e attivista ci ricorda il ruolo dell’architetto come coordinatore (convener) nonché, aspetto importante, come creatore di visioni collettive. Lina Bo Bardi incarna inoltre la tenacia dell’architetto in tempi difficili, siano essi caratterizzati da guerre, conflitti politici o immigrazione, e la sua capacità di conservare creatività, generosità e ottimismo in ogni circostanza”.
E in effetti Bo Bardi è perfetta, è donna, ha attraversato molti conflitti e molte esistenze; dalla nascita a Roma (quartiere Prati) poi il trasferimento a Milano, il lavoro con Ponti, e la scelta che determinerà la svolta della sua carriera, il Brasile. L’edificio per cui le è attribuito il premio alla memoria è soprattutto il Masp, il celebre museo gigante rosso di San Paolo; inaugurato nel 1968 dopo una lunga lotta per accelerare i tempi tra l’architetta italo-brasiliana e il sindaco di San Paolo, l’ex generale di aviazione José Vicente Faria Lima, che pure lanciò un mega piano di opere pubbliche. Varie lotte col comune, “se le persone sapessero quant’è dura rapportarsi con le amministrazioni”, scrisse la Bo Bardi, che pure era scappata dall’Italia anche per sfuggire alle lungaggini burocratiche e a un paese “che ama di più il conservare che non il costruire”.
Era dotata oltre che di genio architettonico anche di estro politico bipartisan: dopo il liceo Mamiani, sposa Pietro Bardi, super fascio, inner circle del Duce, sarà anche amante di Piacentini, già suo relatore di tesi. Con Bardi partono per il Brasile, e lì diventati molto di sinistra fanno alcuni degli edifici più belli del Novecento, tra cui il poetico Sesc-Pompeia traforato a San Paolo. Ma prima, nella capitalona australe, questo colossale edificio squadrato che poco ha da spartire con le altre opere bardesche: corbuseriano, piuttosto, e lei stessa spiegò che dipendeva tutto dai materiali, quel cemento armato prefabbricato che qui sperimenta con successo.
Anche (di nuovo, i conflitti), scazzi micidiali perché senza avvisarla avevano contattato anche il celebre architetto di giardini Roberto Burle Marx per disegnare il piazzalone sottostante il museo, quello che aggetta sul tunnel automobilistico di questa costruzione imponente e inquietante. L’edificio sospeso sui più alti monoblocchi di cemento armato del Brasile fu inaugurato il 7 novembre 1968 dalla Regina Elisabetta in visita di Stato in Brasile (ammirerà le nuove architetture, Brasilia, e premierà Pelé).
La regina vide così per prima l’allestimento fatto coi quadri appesi su supporti trasparenti, rivoluzionario ai tempi. Nel 1989, Bo Bardi, più che settantenne, venne onorata dall’Università di San Paolo nella sua prima retrospettiva e disse, abbastanza inopinatamente: “Rimango una stalinista e una anti-femminista”; e chissà se il curatore della Biennale ne è al corrente in questo premio erogato l'8 marzo. Lei però considerava il femminismo "una questione borghese", scrive il suo biografo Zeuler R. Lima.
Ma tutto concorse ad alimentare la sua mitologia: disse che parte del suo temperamento era dovuto al terremoto della Marsica del 1915, quello tremendo che aveva fatto trentamila morti, e che lei aveva subito quindici giorni prima di nascere, nella pancia della mamma (ma poi le date non coincidono, era già nata, ma pazienza: è chiaro che servirebbe una serie, almeno un “Made in Italy” versione design, su, su).