Terrazzo
L'ultima estate in vacanza
“Io ballo da sola” fu considerato un Bertolucci minore, disimpegnato e fru fru. Rivisto 25 anni dopo, è l’ideale pendant dell’altro film sulla crisi della sinistra, “Ferie d’agosto”
Venticinque anni fa uscivano due film italiani che provavano a raccontare l’estate in cui un mondo nuovo cominciava e un altro finiva. Uno fu un trionfo, l’altro fu molto sottovalutato. Il sottovalutato era “Io ballo da sola”, titolo originale “Stealing Beauty”, con Bernardo Bertolucci che metteva su una patinatissima e sensuale variante del classico grand-tour degli americani in Toscana.
Girato nella campagna più araldica tra il castello di Brolio del barone di ferro Ricasoli e la villa Bianchi Bandinelli, segnò l’estetica di una generazione: la giovane vergine americana Lucy (Liv Tyler, figlia dello scapestrato Steve) arriva in Italia alla ricerca di un possibile padre – la madre, poetessa affermata e minimalista, si è suicidata lasciando liriche e un diario con molte tracce. Intorno, in atmosfere jamesiane, tutti ballano, scopano o scolpiscono tra fienili sgarrupati pieni di lampade Flos, o preparano pranzi biologici, o fanno il bagno nudi non in piscine azzurre di cloro ma in vecchi lavatoi riattati; immersi in una esasperata sensualità, aspettano il fine vita tra musiche dei Portishead e Billie Holliday (e Jeremy Irons in Aids terminale infagottato in costumi Armani).
Il film fu girato tutto d’estate nel ‘95, sul sito dell’Istituto Luce un magnifico frammento di conferenza stampa sudaticcia tra polvere e cipressi e cicale mostra Bertolucci tradurre domande e risposte, e maestranze plurilingue tra un “please” un “merci” e molti “ahò”. E la meravigliosa Susan Minot, scrittrice bostoniana allora sconosciuta in Italia, alla sua prima opera per il cinema, che mangia un piatto di pasta coi generici. E le faccione di terracotta di Matthew Spender, il walkman di Lucy, la Saab di Carlo Cecchi che nel film fa Carlo Lisca detto “marchese de Saab”, inviato di guerra cinicone, possibile padre di Lucy, mentre il figlio Francesco Siciliano corteggia la milf Stefania Sandrelli che è un po’ Natalia Aspesi, con una seguitissima posta del cuore su un settimanale (“Ditelo a Noemi”). “Questioni di cuore – la vera rubrica d’amore del Venerdì – era uscita infatti per la prima volta tre anni prima, nel 1992. La prima lettera, firmata da uno studente di sociologia di Roma, incominciava così: “Che fine hanno fatto le ragazze? Chi le ha cancellate? Chi le ha sostituite con ultracorpi di aspetto femminile?”. E chiudeva: “Finirò per sposare una di loro, cattiva, o resterò sempre solo, come adesso?”.
Tra “Chiamami col mio nome” e “Speriamo che sia femmina”, un classico schema jamesiano di enclave americano-artistica in Italia, “Io ballo da sola” fu considerato a torto un Bertolucci disimpegnato e minore, senza capire che non era un inno al nuovo riflusso ma invece una presa in giro perfida della nuova Italia con la sinistra intellettuale italiana alle prese con Berlusconi, priva di riferimenti e ancorata alla sua pretenziosità – “siete riusciti veramente a creare un posto magico. Tra un po’ servirà un passaporto per venire fino qui”, dice Chiarella Donati, nobildonna del posto. Anche, una sottotraccia queer molto significativa: il figlio della coppia protagonista è gay senza che nessuno se ne voglia accorgere. E Jean Marais vecchio eccentrico francese che inveisce contro chi sta installando enormi ripetitori della televisione “per fare il lavaggio del cervello agli italiani”, Berlusconi aveva vinto le elezioni l’ anno prima.
“Io ballo da sola” col suo perfetto sound anni Novanta fu scambiato per patinato kolossal multinazionale, e certamente per molti di noi ormai vecchietti è il ricordo dell’estate sensuale dei nostri vent’anni. E però era anche un perfetto pendant “dall’alto”, dell’altro film che uscì quell’anno, “Ferie d’agosto”. Là i ricchi globalisti che si fanno la comune sul cucuzzolo della collina, dall’altra parte le due tribù romane che si vanno a scannare sull’isoletta – i trucidi e destrorsi Mazzalupi, negozianti che appena entrati nella casa affittata per le vacanze si buttano sul tetto per vedere se funziona l’antenna tv. E i Molino, intellettuali con famiglia allargata ad amici, attori disoccupati, lesbiche milanesi e che in vacanza non vogliono neanche la luce elettrica. L’Unità scriveva che Ferie d’Agosto metteva in scena “una sinistra che rischia di retrocedere a élite intellettuale e una destra ruvida e godereccia”. “A pensarci bene,” diceva invece Silvio Orlando, “Ferie D’Agosto è un film sull’impossibilità di andare in vacanza, soprattutto per noi di sinistra”.
In entrambi i film c’è una frase-chiave, una specie di urlo, e se per “Ferie d’Agosto” l’indimenticato Ennio Fantastichini pronunciava la classica “non ce state a capì più un cazzo, ma da mò”, in “Io ballo da sola” Jean Marais, sonnambulo e un po’ sciamano di quella comunità fin-de-race, dice ai suoi amici e ospiti: “io vi amavo tanto, tutti, ma quando eravate vivi”.