Terrazzo
Perdere tempo a Monaco di Baviera
L'anello mancante tra designer e artista, oggetti che costringono a interrogarsi sulla loro stessa identità. Gli orologi di Maarten Baas della mostra “New Times”
In una sala buia al primo piano della Pinakothek der Moderne di Monaco ci sono degli orologioni verticali da cartoon, in fila come davanti a un plotone, alcuni simili a casse da morto. Dietro i quadranti, come oblò annebbiati, i volti di diversi uomini disegnano, cancellano e ridisegnano, con pennarelli a punta grossa, aiutandosi a volte con dei righelli, le lancette dell’orologio. In un video vediamo delle mani che con dovizia impiegatizia imprimono un timbro con un quadrante su un foglio e poi, con una penna da prima repubblica, segnano le lancette lasciando passare il tempo necessario perché scatti il minuto successivo. Un altro video mostra dall’alto due netturbini in tuta blu che risistemano la spazzatura con degli spazzoloni creando lancette. Guardandolo da vicino un uomo tedesco – sandali e gilet e volto da extra di un episodio di Derrick – ridacchia e controlla il suo orologio da polso con cinturino di pelle e dice alla moglie: «è giusto».
Non ci sarebbe niente di speciale in questi orologi di Maarten Baas della mostra “New Times” perché, appunto, segnano l’ora esatta, compiono la loro funzione di misurare il tempo. Non sono diversi da qualsiasi altro orologio. Eppure il tempo passa diversamente, a livello percettivo, perché la frazione tra una lancetta e l’altra (il movimento, la meccanica, il tic e il toc), è sostituita da cancellazione e creazione manuale. Sembra un ironico oltraggio a Lavoisier e alla sua massima: “Nulla si crea, nulla si distrugge, tutto si trasforma”. Il tempo qui viene – letteralmente – cancellato. E ricreato. Per combattere la cosmica ansia del passare del tempo l’uomo ha creato l’intrattenimento. Il Buddha si astiene dall’entertainment perché guarda l’abisso. Ma se l’abisso è l’intrattenimento? La sintesi perfetta di questo gioco col tempo era stata l’opera del 2011 di Christian Marklay, The Clock, un montaggio video di ventiquattrore con spezzoni di film temporalmente consecutivi in cui è presente un orologio, da Mezzogiorno di fuoco a V per Vendetta, tutto sincronizzato con l’ora della proiezione (opera che, come Ritorno al futuro, ha un ruolo importante nel secondo romanzo di Ben Lerner, “10:04”).
Anche qui, come negli orologi di Baas, c’è qualcosa di ipnotico – è un caso che gli ipnotisti facciano dondolare proprio un orologio a cipolla per indurre sonno artificiale?L’intrattenimento – la fuga dal tempo – diventa il guardare fissi il tempo che cambia, l’azione del costruire cambia il ritmo. Possiamo considerare Baas una sorta di missing link, di anello mancante tra designer e artista. “I designer producono oggetti di cui la società non ha bisogno”, diceva Enzo Mari. Baas ricrea oggetti – in serie, acquistabili, quindi design – ma la cui funzione primaria sembrerebbe il costringerci a pensare all’identità degli oggetti. Se una rosa è una rosa è una rosa, le sue coloratissime sedie di argilla sono davvero una sedia, una sedia, una sedia? E i suoi mobili carbonizzati?
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