Foto LaPresse

Terrazzo

Instagram e la capitale

Giulio Silvano

Cosa accadrebbe se applicassimo il meccanismo di analisi estetica del profilo del social network lo applicassimo a chi si sfiderà a ottobre per conquistare il Campidoglio?

Sarebbe un mondo orribile quello in cui l’estetica del profilo Instagram sostituisse le elezioni, come se bastasse un parametro superficiale, emotivo-visuale, di pancia e di occhi, come strumento per ottenere una carica politica, il potere. L’armonia visiva come alternativa alla democrazia popolare. E non è nemmeno una questione di like e cuoricini, non numeri ma gusto! (per definizione soggettivo, ma che gli strutturalisti critici ci hanno insegnato esser tutta una questione di classe – ma non scomodiamo Bourdieu).  Ma cosa accadrebbe se questo meccanismo di analisi estetica da Black Mirror lo applicassimo a chi si sfiderà a ottobre per conquistare il Campidoglio?

Virginia Raggi. Le foto della sindaca alternate ai presunti accomplishment dell’amministrazione (i nuovi camion “squali” per la spazzatura, il “piano sampietrini”) e ai settimanali bollettini cultural-previdenziali sugli eventi in città, voce fuori campo con flemma da telefonata eterna in attesa con il primo operatore disponibile, “per i servizi anagrafe premere cancelletto”. Raggi elegante quasi sempre in mascherina, in posa vicino a: una PostPay gialla gigante, Di Maio, giovani allo skate park, Verdone, monopattini e auto elettriche. Niente di personale, solo lavoro. Si intravede un desiderio di creare entusiasmo e coinvolgimento che fallisce per via della confusione cromatica, brutte foto, font e grafica troppo amichevoli-cheap. Strano per un partito che deve tutto ai social network.

 

Enrico Michetti. Esiste su Instagram da meno di due mesi. (Perché nella real life esisteva invece prima? Si chiedono i giornalisti). La comunicazione è quella della scritta da titolone, grafica impetuosa&indignata di scuola salviniana, un po’ Mario Giordano un po’ Iene, tutto in caps lock: “Soldi buttati!” e slogan da baretto, “Cara ciclabile quanto ci costi!”, “Dalla parte degli agenti senza se e senza ma”. Ma almeno negli ultimi giorni ha creato nelle grafiche un’uniformità che rilassa gli occhi, usando le stesse strutture con banda blu in alto e parole in giallo. Le foto personali sono un tentativo di pre-istituzionalizzarsi come uomo del fare populista: posa da centurione, camicia azzurra, pochissime idee. 

Roberto Gualtieri. Se qualcuno mi chiedesse la definizione di boomer lo manderei a guardare il profilo di Roberto Gualtieri. Gualtieri, che per chi non lo sapesse è il candidato del Pd, sembra uno che annuisce quando legge Cazzullo e sorride quando legge Gramellini. Fedele alla linea del partito, l’Instagram non si capisce bene dove voglia andare: video veltroniani, tweet con mega virgolette colorate, foto del candidato al computer su zoom. Ha il record di foto in memoriam per defunti celebri – Paolo Rossi, Macaluso, Battiato “Grazie di tutto maestro” etc. etc. –  e addirittura un post per il compleanno del Papa. Bonus track: in un video suona Bella ciao alla chitarra. 

Carlo Calenda. Giano dei social. Sarà il Dna cinematografaro o i bravi Smm, ma Calenda sa gestire il godibile equilibrio politica-vita personale. Va in gita a Vienna e posta uno dei 69 busti delle smorfie umane di Franz Xaver Messerschmidt. Negli scatti in famiglia appare sincero affetto e amore verso moglie e figli; ma non famiglia modello Mulino Bianco, più commedia italiana borghese, tipo con Alessandro Gassman che vive a Prati, dove qualcuno combina qualcosa ma poi alla fine va tutto bene, perché hanno capito ad accettare le proprie differenze. Il lato politico è composto, predomina uno sfondo blu notte. Tutto ben ordinato, l’occhio sa dove andare. Duro, fermo, chiaro. Come i suoi ragionamenti nei video dei reportage nei vari municipi. Ogni tanto riesce a far ridacchiare, anche se talvolta gli esce la boomerata. 

Di più su questi argomenti: