Terrazzo
La sfida delle case d'artista
A Roma folle per Balla al Trionfale, mentre Milano risponde con Sottsass in Triennale. Resiste il Vittoriale. E casa Praz resta chiusa
Ci dev’essere un mistero, che mistero non è, sul grande successo suscitato dalle case d’artista, anche tra persone e pubblici che magari l’artista non se lo sono filato mai. Però è facilmente comprensibile: così come nessuno vorrebbe un libro da leggere, ma tutti vogliono l’incontro con l’autore, la firma dell’autore, la presenza dell’autore, così le case d’artista permettono un incontro ravvicinato e quasi feticistico, che permette di respirare l’aria, immaginare una vita, di chi vi abitò e vi creò .
La casa d'artista è anche un grande intrattenimento, ci si può andare soli, in gruppi, in coppia, farci anche un date. E, a differenza dei musei, non impegna. La casa d’artista sta al museo come Netflix sta alla Rai: non sei costretto a seguire l’intero programma, vedi solo una cosa, e te ne vai (oltretutto, le case d’artista sono generalmente molto instagrammabili).
La madre di tutte le case d’artista italiane è naturalmente il Vittoriale, il compound a cui l’Immaginifico dedicò i suoi ultimi anni di vita, a trasformare una modesta residenza lacustre in una via di mezzo tra una mansion da Hugh Hefner e una villa medicea, tra una residenza alla The Aviator e un Madame Tussaud: recentemente rimesso a posto e gestito impeccabilmente da Giordano Bruno Guerri, siamo in zona anniversari. Fu infatti nel 1921 che D’Annunzio, reduce dalla Reggenza del Carnaro, quell’avventura triestina scombinata ed eccitante, acquistò una villa precedente da uno storico dell’arte tedesco, Henry Thode. Poi il Vate comprò terreni circostanti e ampliò la casa di nuovi annessi chiamati con mitomania la Prioria, la sua residenza, il Casseretto, cabina di comando, fino all’ala Schifamondo, dove rinchiudersi appunto lontano da tutto.
Ma se il Vittoriale centenario è una Disneyworld del tardo Ottocento italiano, ci sono parchi a tema anche minori e nuovi: l’anno scorso ha aperto a Roma con gran successo Casa Balla, l’appartamento che il massimo futurista romano si fece nel ‘29, scacciato dal real estate arrembante dei Parioli e deportato nel costruendo quartiere della Rai alle pendici di Monte Mario. Lì Balla abitò con la moglie Elisa e le due figlie Luce ed Elica, pittrici anche loro, che poi ereditarono l’appartamento, infine trasformato in museo e oggi parte di una generale valorizzazione voluta dal Maxxi, con mostra al museo di opere e arredamenti e visite al Bal Tic Tac, piccolo teatrino “off” a via Nazionale. Casa Balla piace moltissimo ed è prenotatissima, ed è anche un manifesto di “do it yourself” e di come sistemare una casa con fantasia senza spendere troppo; sarebbe piaciuta molto a qualcuno distantissimo da Roma e dalla romanità, Enzo Mari. Si possono infatti ammirare – visto il grande successo, per tutto il 2022 - la controtelaiatura dei corridoi studiata per nascondere le tubature; gli ingegnosi portaombrelli e attaccapanni colorati, e poi lampadari, credenze, madie, letti. Tutto fatto su misura da sé o tramite fidati artigiani (ma oggi, tutto questo su misura sarebbe probabilmente fuori mercato). Manifesto di resistenza urbana, c’è anche una “stanza dei rumori perpetui”. A un certo punto, infatti, gli costruirono un palazzo attaccato al suo, e gli murarono pure una finestra. Venne risarcito con uno stanzino in più, attaccato alla cucina e inutilizzabile, oltre che rumorosissimo.
Accanto alle case d’artista ci sono le open house, le visite architettoniche, che riscuotono anche loro grande apprezzamento, anche se visitare un’architettura generalmente è meno emozionante di visitare il luogo dove un artista ha vissuto e creato (quindi, il meraviglioso studio di Achille Castiglioni a piazza Castello a Milano sarà più interessante di una casa disegnata da Castiglioni. Ma lo studio/abitazione di Portaluppi sarà poi meglio o peggio della stra-visitata villa Necchi? Cosa dirà l'algoritmo?).
E poi ecco un altro modello ancora, l'interior d'artista musealizzato. Ecco casa Lana, interno di un vero appartamento milanese disegnato dal gran maestro tirolese Ettore Sottsass. Donato alla Triennale di Milano dalla vedova Barbara Radice e ricostruito scrupolosamente nell’allestimento da Luca Cipelletti, e da Christoph Radl, che ha seguito l’art direction del progetto, casa Lana è una piccola capsula lignea, una struttura in legno con divani disposti in modo da creare un luogo di soggiorno protetto per chiacchierare e ascoltare musica, mentre lo spazio intorno è organizzato per assolvere a varie attività e funzioni. Gli spazi sono ottimizzati perché, eliminati i corridoi, si crea, nelle parole di Sottsass (“Domus”, 1967) “una piazzetta nella quale si gira e ci si incontra”.
Più che casa d’artista sembra un “cabanon” lecorbusieriano o la stupenda “petite chambre” fatta in omaggio al maestro svizzero sempre in Triennale da Umberto Riva cinque anni fa. La “cabina” sottsassiana inaugura in Triennale una Sala Sottsass, un ciclo di mostre a cura di Marco Sammicheli, e già si vedono grandi folle accorrere, anche in vista di un ennesimo natale cittadino. Intanto, a Roma, rimane chiuso al pubblico misteriosamente un altro luogo fondamentale, la casa-museo di Mario Praz, quella a palazzo Primoli. Casa della vita (o della seconda vita, la prima andò distrutta in un incendio), nell’edificio che contiene anche il bel museo napoleonico, è inopinatamente sbarrata al pubblico. E forse servirebbe una delle magie di cui il professore era capace per riaprirla, e restituirla finalmente a chi vuole visitarla, e farcisi dei selfie.