Opera di Graziani, presa dalla sito della Fondazione Pescheria di Pesaro 

Terrazzo

La nuova mostra fotografica della Fondazione Pescheria di Pesaro

Manuel Orazi

Stefano Graziani attraverso le sue foto mostra le "cose che sono solo se stesse" filtrate attraverso "vuoti margini, presenze affioranti dal corso del tempo e della storia”

La Fondazione Pescheria a Pesaro è l’unico museo d’arte contemporanea delle Marche. Un posto considerevole è dato alla fotografia, il direttore Marcello Smarrelli ha coinvolto per questo Alessandro Dandini de Sylva, che da anni collabora con varie istituzioni pubbliche e private come la Fondazione Malaspina di Ascoli Piceno. Ecco dunque l’arrivo di Stefano Graziani, fotografo triestino che presenta tutti lavori inediti nelle due sale che compongono il museo: l’aula dodecagonale dell’ex chiesa del Suffragio (parzialmente demolita dal terremoto del 1930) e l’edificio dell’ex pescheria neoclassica progettata in origine come un portico dall’ingegnere ferrarese Pompeo Mancini, con molte belle colonne doriche in mattoni. Proprio queste sono evidenziate nel foglio di sala dallo studio milanese Baukuh, autore anche dell’allestimento che consta in una copertura in tela grigia piegata giusto in occorrenza delle uscite di emergenza (scelta obbligata) e dell’ingresso assiale (scelta autoriale), con grandi scritte in maiuscolo STEFANO GRAZIANI, MOSTRA FOTOGRAFICA che hanno un carattere evocativo che va al di là del loro mero significato, creano cioè un’atmosfera come in Ed Ruscha o in Venturi&Scott Brown. Le grandi scritte in colore tenue fanno dunque parlare l’architettura, sebbene il titolo scelto dall’autore sia apodittico, un non titolo piuttosto: “Questo nuovo lavoro intercetta alcune direzioni e idee del passato includendole in una serie che apre prospettive per i progetti futuri. Una sequenza pensata in maniera specifica per la Pescheria di Pesaro e il suo spazio.

 

La maggioranza delle fotografie esposte non sono mai state mostrate o pubblicate, non hanno un tema particolare che le unisce, ne hanno molti e tutti sono visibili”. Non c’è insomma nessun retropensiero, tanto che la memoria corre alla mostra “Cose che sono solo se stesse” organizzata da Paolo Costantini al CCA di Montreal sul connubio fra Aldo Rossi e Luigi Ghirri. Del resto Graziani sta ripercorrendo le orme di Costantini, il critico scomparso anzi tempo che trent’anni or sono ha gettato le basi della fortuna internazionale di Ghirri e Guido Guidi (antico maestro di Graziani) oggi rinvigorita dal lavoro di Francesco Zanot e dall’editore londinese Mak. La Romagna di Guidi, l’Emilia di Ghirri, il Veneto di Costantini, la Venezia Giulia di Graziani, le Marche pesaresi: un orizzonte adriatico che il friulano Nino Dardi descriverebbe “come memoria e nostalgia filtrante attraverso misteriosi segnali o segni stratificati, vuoti margini, presenze affioranti dal corso del tempo e della storia” sintetizzando così, retroattivamente, l’intera opera di Graziani.