15 settembre 2021. Beppe Sala inaugura la statua di Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in centro a Milano (Foto: Ansa/Paolo Salmorago)

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Milano è la città delle statue: la chiamano equality-marketing, si legge paradiso per piccioni

Giulio Silvano

Dopo le polemiche per la mancanza di statue femminili, il sindaco Sala ha provveduto a erigerne una per Cristina Trivulzo di Belgiojoso. A giugno tocca a Margherita Hack. Ne mancano solo 118 per colmare il gap

L’onda di polemiche sulle statue di colonizzatori, schiavisti, monarchi e cristofori colombi – tirate giù dalla folla come si fa di solito dopo una guerra, tipo con Saddam – in Italia ha scaturito tre reazioni che non hanno sfiorato colonizzatori, schiavisti, monarchi e cristofori colombi. La prima è stata colorare di rosa l’Indro Montanelli dei Giardini di Porta Venezia. La seconda il rinnovo della disputa su quel che resta dell’impero monumentale mussoliniano, come l’obelisco del Foro Italico, che tira sempre fuori il meglio dagli editorialisti boomer. Il terzo risultato è stato fare la conta – non considerando ovviamente le Madonne –  delle statue femminili sul territorio italico facendo vedere quante poche ce ne siano rispetto a quelle con baffoni e fucili e palandrane; basta fare due passi al Pincio dove tra i 228 busti ce ne sono solo tre: Grazia Deledda, Vittoria Colonna e santa Caterina da Siena.

 

Ma per riequilibrare le differenze di genere nella ritrattistica pubblica è arrivato Beppe Sala, lui sa bene quanto queste cose siano instagrammabili ed elettoralmente potenti. Così, al tentativo fallito della spigolatrice soft-porn di Sapri, Milano ha contrapposto Cristina Trivulzio di Belgiojoso, in posa da ballerina davanti alla casa del Manzoni – spezzando un po’ la prospettiva settecentesca –  prima statua di donna tra le 121 meneghine. Ma non bastano le nobili patriote benevolenti che piaccion tanto alle sciure, bisogna anche dare un colpo all’ateismo scientista, così la prossima sarà Margherita Hack (e poi per le ex-sessantottine arriverà Anna Kuliscioff, tranquill*). La statua che ha vinto la gara è dell’artista bolognese Sissi e si chiama “Sguardo fisico”: l’accademica astrofisica toscana emerge come da un vortice per osservare le galassie. Tiene le mani in alto come a stringere un cannocchiale, strizzando un occhio con la bocca semi aperta, come si faceva da piccoli coi tubi dello Scottex. Forse è un richiamo italico all’idea del “abbiamo le grandi menti ma ci mancano i fondi per le attrezzature, dobbiamo immaginarcele”, chissà.

 
Verrà inaugurata a giugno, a cento anni dalla nascita di Hack, nei giardinetti davanti alla Statale, in una zona dove la media del Pm10 è oltre le linee guida dell’Oms, dove sarebbe quindi difficile vedere un aquilone tra le nuvole di smog e l’inquinamento luminoso, figuriamoci la via lattea.

 

Niente di nocivo in questa operazione equality-marketing, senonché, se si decide di tenere tutti i monumenti dei maschi, ne mancherebbero ancora 118 femminili per arrivare a un vero equilibrio di genere. Una città di statue. Più o meno 1,3 per km quadrato. Un paradiso per piccioni. Oppure si potrebbe fare un grande parco, tipo Prato della Valle, o tipo Gianicolo, o tipo il Memento Park di Budapest, nelle praterie del parco Agricolo Sud, e spostarci anche quelle dei maschi e organizzare subito la Monument Week, così in centro resterebbe solo il dito medio di Cattelan.