(foto dal profilo Facebook di Riccardo Falcinelli)

Terrazzo

Dai libri ai meme, è solo una questione di grafica. Parla Riccardo Falcinelli

Giulio Silvano

"Oggi tutto quello che ci circonda o è design o ha un involucro grafico. La divulgazione? E' il male. Godiamoci i meme finché restano anarchici". Colloquio con il grafico e autore romano, che ha appena pubblicato "Filosofia del graphic design"

Se guardate nella vostra biblioteca, tra le mensole del vostro salotto, è impossibile non trovare un libro su cui ha messo le mani Riccardo Falcinelli, che sia Einaudi o Sur, Minimum Fax o Carocci. Sul sito del suo studio si possono scorrere le migliaia di copertine a cui ha lavorato. Ha avuto anche successo come autore – “Cromorama” e “Figure” hanno venduto centinaia di migliaia di copie. Il reader appena uscito nella PBE “Filosofia del graphic design”, è un libro meno “pop” degli altri, che mette insieme testi novecenteschi, perfetti per chi lavora nell’industria culturale. “L’ambizione è far conoscere alcune figure chiave della grafica”, dice al Foglio. “Ho fatto questo libro perché mi serviva e non c’era. Sono testi che un tempo sarebbero stati eminentemente tecnici e specialistici ma che oggi possono riscontrare un interesse più generale”.

 

Alcuni grafici e art director avevano una visione profetica su quello che Bianciardi chiamava ‘il lavoro culturale’. Muriel Cooper, in un saggio dell’89 “presagisce la banda larga e i problemi dello smart-working, quando in Italia stavamo ancora con la Sip. Sapevano dove sarebbe andato il mondo”. Viviamo nell’epoca della grafica? “Tutto è grafica” dice Falcinelli, “Ora stavo mettendo a posto i bollettini di conto corrente, anche questi qualcuno li ha disegnati. Facciamo un confronto con altre epoche: nel Medioevo le persone non avevano a che fare nella vita quotidiana con cose progettate, a parte forse la domenica in chiesa. Oggi tutto quello che ci circonda o è design o ha un involucro grafico. Ma la vera novità è che da un po’ di anni a questa parte chiunque fa un po’ di grafica, anche solo compilando un testo in Word e scegliendo la font”.

Il graphic design diventa filosofia quando iniziano a esserci testi che fanno un passo indietro e lo analizzano rispetto al suo ruolo nella società, come “Modern Typography” di Kinross. “Il succo è che la forma della scrittura è un problema di tipo etico, morale, che poi in fondo è la cosa che ci deve interessare. Come grafico se c’è una cosa che mi annoia a morte è ritrovarmi con i colleghi che mi parlano della bellezza dell’interlinea”, racconta Falcinelli che tra le immagini del libro ha scelto anche la copertina di “Ways of seeing”. “Berger è un modello assoluto di metodo, di studio, di scrittura. Aveva molto chiaro il pubblico a cui parlava. Se vai a vedere le trasmissioni che faceva sulla Bbc negli anni 70, è molto chiaro ma non è mai divulgativo. Il divulgativo è il male. Il divulgativo è quello che fa la Rai: prendi un argomento alto, specialistico, tecnico e lo trasformi in intrattenimento, per un pubblico che però non necessariamente è interessato a quella cosa. Il discrimine sta qui, divulgazione è quando tu ti stai rivolgendo a un pubblico che non avrebbe pagato per ascoltarti”.

Aggiunge che “le nuove generazioni sanno distinguere meglio i prodotti di qualità da quelli così così. Anche perché di prodotti ne maneggiano tanti”. Facendogli notare il tono apocalittico di certi autori pre-guerra che ha selezionato, spiega: “E’ un apocalittico entusiastico, stanno dicendo; ci troviamo di fronte a una rivoluzione radicale, la tecnologia sta cambiando il mondo, ma erano convinti che il mondo cambiasse per il meglio. Per loro la tecnologia avrebbe portato a un miglioramento, e anche nelle persone più a sinistra non c’è mai una critica all’industria come forma del capitalismo. Sono convinti che è da lì che passa l’affrancamento dei lavoratori. C’è un entusiasmo anche nei confronti della pubblicità. Come quando Depero dice ‘il vero artista sta dove c’è un committente illuminato’”.

Le cose sono un po’ cambiate. “Oggi siamo in una fase fin troppo opposta, siamo sempre critici, sospettosi, negativi, complottisti, quando leggo quei testi degli anni 20 provo malinconia, e anche invidia, dico: guarda com’erano spensierati cent’anni fa”. Uno di questi è l’articolo di Brodovitch intitolato Cosa piace all’uomo moderno, dove giudica il passato, ma poi usa i font settecenteschi per Harper’s Bazaar. “Sì, perché era intelligente e non era un moralista. La cosa più interessante nel suo testo è che facendo un elenco dei grandi innovatori ci infila Mussolini. E’ divertente. Ti fa capire il punto di vista negli Stati Uniti negli anni 30”.

Discutendo sul tema dell’autorialità Falcinelli tira fuori un’altra delle sue ragionatissime massime: “Il problema è che tutto ciò che è visivo continua a essere valutato con il metodo dell’arte”, e così finiamo a parlare di meme. “Il meme è una sacca anarchica all’interno della rete”, dice, “Finché dura, perché i meme giocano con la sovversione di messaggi massmediatici. Finché Warner Bros o 20th Century Fox o Disney non decidono che l’uso di fotogrammi non va sorvegliata. Al momento non lo fanno perché non possono, ma è un attimo, l’intelligenza artificiale da qui a pochi anni potrà dirti chi è stato a lanciare per primo quel meme nella rete. Appena questo accade, puoi essere perseguito. Quindi teniamoceli stretti finché sono liberi e anarchici”.

E i social? “Oggi quando si condivide una copertina, per un editore un passaparola visuale su Instagram conta più di una recensione. E conta di più non solo come venduto ma anche culturalmente, innesca dei meccanismi virtuosi di memorizzazione, di divertimento che spesso i giornali non sono in grado di attivare”. Quindi chi fa copertine le fa anche pensando a come appariranno su Instagram? “Senza ‘anche’. E’ parte integrante del mestiere. Noi sappiamo che oggi le copertine finiscono lì, quindi io devo progettare qualcosa che funzioni sia sul libro reale sia come simulacro per la rete. Ed è giusto così”. Ma alcuni editori su questo sono svantaggiati. “Il progetto di Adelphi si presta meno da certi punti di vista. Le collane e il brand Adelphi sono così forti che sui social si vede più il brand della copertina, o del singolo titolo. In parte accade anche coi Supercoralli, con tutti i progetti nati cinquant’anni fa sull’onda di altri tipi di ragionamenti”.

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