Terrazzo

Angelo Mangiarotti, l'erotico marmoreo

Michele Masneri

A dieci anni dalla scomparsa, tornano di moda i mobili-scultura del designer milanese

È stato il più scultoreo dei designer e il più designer tra gli architetti. Angelo Mangiarotti, morto dieci anni fa, nel giugno 2012, è stata una presenza discreta nel panorama compassato (da compasso, naturalmente d’oro) d’Italia, senza mai raggiungere vette di celebrità dei De Lucchi, o prima fratelli Castiglioni, o Magistretti, e anche la sua scomparsa ottenne poco clamore. Nelle case italiane però le sue sculture flessuose in forma di mobili marmorei han sempre continuato a entrare e oggi pare conoscere una seconda giovinezza.

 

Nato nel 1921, si era laureato in Architettura al Politecnico di Milano nel 1948 ed era partito subito per l’America: aveva lavorato dal 1952 al 1954 era stato visiting professor all’Institute of Design dell’Illinois Institute of Technology, al centro della architecture royalty americana, incontrando e stringendo amicizia con  i colossali Frank Lloyd Wright, Walter Gropius, Mies van der Rohe e Konrad Wachsmann. Poi tornò a Milano nei tempi del boom: apre uno studio di architettura e design insieme con Bruno Morassuti. Insieme fanno mobili componibili, macchine da cucire, e sempre sfiorando il Compasso, che otterrà solo nel ‘94 alla carriera, “per la sua intera opera e in particolare per la capacità di interpretare i materiali, di trasferire ai beni industriali le forme dell’immaginazione colta e di conferire ai prodotti una permanenza nella cultura, al di là della datazione”. La materia rimane la sua ossessione, come spiega nei suoi saggi (tra gli altri “In nome dell’architettura”, 1987). Altri suoi motti: “Fare il proprio lavoro senza mai perdere il rigore e sentirsi soddisfatti solo nel rispetto di se stessi e degli altri”; “la felicità viene solo dalla correttezza”. Il rigore milanese era temperato dalla sinuosità barocca delle forme, forse per questo rimase un "laterale", senza entrare mai nel canone lombardo (forse anche per i prezzi formidabili). 


Basta guardare la celebre Eros, serie di tavoli massicci che oggi sono tornati al centro dell’attenzione e rispuntano tra negozi, servizi di moda e aste. Con quegli incastri lussuriosi tra pezzi di marmo, senza giunti meccanici ma solo con la forza di gravità. Nata nel ‘71, idea erotica del design:  “giunto maschio-femmina che per fortuna ancora funziona”. Eros utilizza il peso offerto dal marmo, materia prediletta da Mangiarotti, per garantirne la stabilità. La geometria delle gambe tronco-coniche permette la corretta distribuzione dei pesi. Gli esperimenti sui giunti gravitazionali proseguono col  tavolo “Eccentrico” (sotto), vero e proprio apice costruttivo, nel ‘79, che porta Mangiarotti verso le vette espressive del Franco Albini della libreria “Veliero” e del Carlo Mollino del tavolo “Cremona”. Tavolo monogamba, anche qui di marmo, senza giunti, solo a incastro, dove il piano ellittico del tavolo è incastonato asimmetricamente in una gamba cilindrica inclinata che blocca ogni scorrimento verticale per attrito dato dalla sua eccentricità, sfruttando il suo peso per spingere verso il basso.

 

 

Mentre cerca un centro di gravità permanente, Mangiarotti diventa una specie di versione monumentale di Enzo Mari, le suoi architetture fai da te qui sono però in marmo, ma auto-assemblabili e soprattutto consentono un numero enorme di combinazioni il cui “tocco finale” è del cliente. Anche la libreria “Cavalletto”, del 1953, ricorda per essenzialità alcune cose di Mari, questa volta in leggero legno di betulla, una specie di antenato araldico della Billy Ikea, con un cavalletto a V rovesciato assemblabile in mille combinazioni. Funzionalista sexy, Mangiarotti ha portato l’erotismo domestico fuori di casa, e lo stesso sistema a incastri lo utilizzerà per esempio anche “in esterna” come nella pensilina per il padiglione dell’l’Iri a Genova, una specie di “Super Eros” in cui colonnine coniche sostengono la struttura.

 

Non per niente a un certo punto riceverà una laurea honoris causa in Ingegneria: i progetti “fuori” sono almeno importanti di quelli “dentro”; tante stazioni ferroviarie di Milano (Porta Venezia, Rogoredo, Certosa, Repubblica) e tante case soprattutto a Milano fatte insieme a Bruno Morassutti (tra cui quella cilindrica a San Siro e il bosco verticale pre-Boeri in via Quadronno). Paradossalmente, le sue architetture appaiono leggere  quanto i suoi mobili sono ponderosi. Molti di questi sono prodotti oggi da Agape. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).