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Sessant'anni di Costa Smeralda, il mare dei potenti
La celebrazione è ufficiale: sessant’anni fa nacque la Costa Smeralda. Il 14 marzo del 1962 davanti al notaio Mario Altea di Tempio Pausania
La celebrazione è ufficiale: sessant’anni fa nacque la Costa Smeralda. Il 14 marzo del 1962 davanti al notaio Mario Altea di Tempio Pausania un astuto imprenditore del continente, il milanese Giuseppe Mentasti, re dell’acqua San Pellegrino oggi svizzera, comprava con un maxi rogito i terreni di Porto Cervo dalla famiglia locale Orecchioni (sic). Con quel rogito fatale passavano di mano 145 ettari che saranno la base poi per la mega colata di cemento di fascia alta che costituirà quel parco a tema. Mentasti veleggiava col suo “Croce del Sud”, in Gallura e già nel 1954 aveva comprato l’isolotto di Mortorio. Poi venderà tutto, nel 1963, al vero developer di quel sogno: l’Aga Khan, sovrano islamico dal volto umano, sovrano allora poco più che ventenne.
Altro anniversario: nel 2012 un’altra famiglia regnante di più solido islamismo, gli emiri del Qatar, islamismo glamour, subentrarono. Si son poi comprati tutto: il Cala di Volpe ma anche il Pitrizza, il Romazzino insieme allo Yacht Club Costa Smeralda e il Pevero, insomma tutti i simboli di quella operazione che negli anni Sessanta aveva trasformato la più povera isola italiana nella più povera isola italiana con Yacht Club e commissione architettonica. Nel frattempo cambiavano le utenze: arrivò un altro sultano, il Cav., e con villa Certosa l’immaginario mutò, definitivamente (vulcani finti, bandane, capi di stato esteri con turgori improponibili). Poi arrivò il Billionaire e poi arrivò lady Diana che vi trascorse l’ultima estate fatale nel 1997; poi le estremità fatali di Lele Mora massaggiate da Fabrizio Corona. Arrivò infine anche Di Maio, che passeggiava da ministro degli Esteri dividendosi tra Poltu Quatu (località già nota soprattutto per lo Smaila’s) e la Maddalena (luogo di ritiri araldici-velistici boeriani), a torso nudo.
Quella architettura mediterranean-eolian-provenzale coniata dal trio di architetti Luigi Vietti, Michele Busiri-Vici e soprattutto Jacques Couelle rimane comunque un unicum, pur nella divisione tra il più sobrio Porto Rotondo e lo show off Porto Cervo. Lo stile “Costa Smeralda” prevedeva pinnacoli e portici, tralicci dell’alta tensione nascosti in eleganti torrette nuragiche, intonaci finti sgarrupati per immaginarie ville da Brianza marinara, giardini verdissimi all’inglese come a Cantù-Cermenate, ma fino al mare; e integrazione del pilastro monolitico col “patio”, la “trave a vista”, il cotto, la finestra panoramica sul Golfo di Marinella, il camino bianco, la tavernetta, i coppi invecchiati, la piscina azzurra non ancora a sfioro e tutte le domotiche integrate e le antenne nascoste.
Tra tutte le “città ideali”, tra le company town di Crespi d’Adda e di Milano 2 e di Zingonia dell’imprenditore Zingone, un unicum, un “borgo più bello d’Italia” prima che andassero di moda i borghi, con tutte le comodità però della città: realizzazione del sogno del cumenda, brivido del mare col comodo del green e del posto auto e del cancello elettrico Faac (e aeroporto comodo; quest’estate, mentre Fratoianni vituperava molto i jet privati, ecco vari self made sui loro Falcon e Gulfstream librarsi da Olbia, per primo Cremonini delle carni).
Chi non ha villa e può, da sempre va al Cala di Volpe, grande cattedrale alberghiera del deserto, Chateau Marmont a cinque stelle con infinito pontile, torrette svettanti, canali come a Amsterdam e Venezia, finestrelle strette da convento sul monte Athos, e minareti moreschi (dunque perfetta integrazione culturale ottomana). Ma per chi è meno liquido, la Costa Smeralda è da sempre “scalabile”:prima di Instagram i futuristici astuti pietroni segnaletici con scritto “Costa Smeralda” sulla roccia erano già perfetti per i selfie per turisti di giornata che arrivavano fin lì a vantarsi, coi panini. La Costa Smeralda ha poi generato tanta cinematografia e tanta lotta di classe, infatti. Dalla “bottana industriale” di Lina Wertmüller al Christian De Sica che si fingeva “Cristiano Gardini”, un immaginario figlio di Raul, in un ennesimo remake del conte Max nel vanziniano “Fratelli d’Italia” (celebre per una battuta pre-Merkel: “Di fronte al marco pesante m’arendo”), e forse oggi rivalutabile nella temperie politica.
“L’Aga Khan”, faccia da Klaus Maria Brandauer e curriculum da jet set europeo più che islamico, nonostante la discendenza diretta maomettana, aveva attirato tutti: il solito Avvocato che faceva manovre pericolose in rada coi suoi velieri spropositati; la principessa Margaret e il re Juan Carlos pure lui a vele spiegate. Seguirono i grandi alberghi della Ciga (Compagnia italiana grandi alberghi, appunto. Che marchio fantastico sarebbe da rilanciare oggi, con l’Italia nuovamente al centro del turismo, e nessuna catena di rilievo). L’Aga Khan pare che si fosse inventato la Costa Smeralda sorvolando la Sardegna in aereo e notando con fiuto infallibile la bellezza delle spiagge caraibiche a due ore da Londra; altre leggende dicono invece che fosse stato tirato dentro in quel business dal fratellastro Patrick Guinness, quelli della birra, e arrivando, ci rimase malissimo, non c’era infatti “niente”. Con altrettanto fiuto i politici democristiani sardi nel frattempo vituperavano molto l’invasione estera, progettando invece una grande raffineria. Di sicuro la Costa portò senza intenzione anche l’empowerment femminile. Nacque infatti da quei rogiti fatali una progenie di signore sarde benestanti, perché le coste, non adatte ai pascoli e dunque considerate infruttuose, erano da sempre lasciate in eredità alle ragazze.