Terrazzo
Tra percezione e illusione: i giochi dell'arte in mostra a Padova
In occasione degli 800 anni dell’Università, Luca Massimo Barbero dà vita a L'occhio in gioco: un'esposizione che aiuta a riscoprire l'arte contemporanea attraverso i rimandi con il passato. Una parte è dedicata al Gruppo N e offre un ritratto inedito del Novecento italiano
È spesso un miraggio, o per l’appunto una mera illusione, quella di poter cogliere lontano dai grandi centri – che in Italia erano Milano e Roma e oggi è in pratica solo Milano e, nei giorni pazzi di inaugurazione della Biennale, anche Venezia – delle mostre o esposizioni che dir si voglia, capaci di superare i confini comunali per offrire uno sguardo innovativo o quanto meno inedito. Al meglio, di solito, si mettono in gioco anniversari locali che ammontano a qualche centinaia di anni per rimettere a lustro patrimoni di sicuro valore, anche se spesso la lucidatura appare come un eccesso di cipria sul naso di un’attrice da cinema muto ormai fuori epoca.
Sorprende invece positivamente la mostra L’occhio in gioco, che cogliendo l’occasione degli ottocento anni dalla fondazione dell’Università, presenta a Padova con originalità e con un non banale gusto pedagogico, come l’arte abbia rappresentato i concetti di percezione e illusione. Prendendo avvio inevitabilmente da Galileo Galilei – nume tutelare dell’Università padovana – la mostra offre uno sguardo inedito tanto più per chi in Italia ha visto (e spesso subito) un’arte obbligata tra Guttuso e Vespignani e un discorso filosofico arenatosi tra le vaghezze severiniane. Vedere le opere degli argentini Julio Le Parc e Tomás Saraceno messe a confronto in un dialogo serrato appare quasi come un’apparizione mistica. Saraceno che qualche anno fa stupì e impressionò con una Carte Blanche memorabile al Palais de Tokyo di Parigi, qui assume la postura consolidata di un vero e proprio riferimento inaggirabile nel discorso culturale contemporaneo.
Ed è forse questo il valore massimo espresso da L’occhio in gioco per la cura di Luca Massimo Barbero: fornire un regesto qualitativamente mirabile che conduca il visitatore attorno all’esplorazione di illusione e percezione giocando abilmente nel confrontare artisti ed epoche solo apparentemente lontane. Conoscere i contemporanei dunque per meglio comprendere i grandi artisti del passato, con l’inevitabile risultato di scacciare la mitologia del presente per riconquistare finalmente una contemporaneità che diviene poi visibile oltre la mostra anche negli elementi sparsi in tutta la città. Un gioco di rimandi divertente ed emotivamente coinvolgente.
Non di meno è assolutamente imperdibile la parte dedicata al Gruppo N di cui si ricorda tra gli altri Gaetano Pesce, Alberto Biasi e Manfredo Massironi e che prese origine a Padova e che dialogò attivamente con il tedesco Gruppo T e il centro Azimut animato da Enrico Catellani e Piero Manzoni. Riscoperto all’inizio del XXI secolo, il Gruppo N offre un ritratto inedito del Novecento italiano che vede connettere tra loro Bruno Munari e Umberto Eco, e l’Arte programmata con l’Arte povera. Una ricerca continua e necessaria che rigettando negli anni Sessanta, come un vecchio arnese, ideologie già vecchie allora, restituiva alla realtà il suo bisogno di gioco, liberando allora come oggi una nuova possibilità esistenziale, anche a Padova.