Foto di Yoan Valat, via Ansa 

Terrazzo

Gioconda a parte. Proposte e cambiamenti per il Louvre postpandemico

Giulio Silvano

Le persone ricominciano ad affollare le gallerie. La direttrice del Louvre ha messo il limite di 30 mila visitatori al giorno. Si aggira l'idea di mettere la Mona Lisa in una sala a parte

Finita la pandemia le mandrie iphonate, falangi coi selfie stick, tornano a far tremare i pavimenti della Salle des États, tra le più grandi del palais, tanto che Napoleone III ci riuniva le assemblee legislative. Per mettere un cerotto al Mona Lisa problem e tagliuzzare le code chilometriche davanti alla piramide di Pei, la nuova direttrice, Laurence des Cars, ha messo quest’anno il limite a 30.000 visitatori al giorno, più o meno gli abitanti di Abbiategrasso. L’overpopulation fa partire il trend dei tornelli, del numero chiuso, come alcuni vorrebbero fare a Venezia per evitare ingorghi a Rialto. Malthusianesimo culturale post-covid.

 

“La popolazione, se non è controllata, cresce in proporzione geometrica. Le opere d’arte crescono solo in proporzione aritmetica”, semi-cit. Tra lockdown e guerra, la massiccia riduzione del turismo russo-asiatico-Usa ha fatto capire quanto sono belli i musei vuoti, senza gomitate, chiacchiericci che fuoriescono da audioguide, bandierine e gente che si ostina a usare gli iPad un-metro-per-due come macchina fotografica. Il Louvre nel 2021 ha visto 7,8 milioni di visitatori, poco rispetto alla prepandemia (10 milioni nel ’18), ma comunque molti se si pensa all’année terrible 2019. Ma se è vero che, come dicono molti, al Louvre ci si va solo per una o due opere, negli anni alcuni hanno proposto alternative radicali, come spostare la Gioconda in un padiglione a parte.

 

Era l’idea del giornalista del New York Times Jason Farago che scriveva qualche anno fa: “Nessun’opera d’arte dovrebbe rendere la gente infelice. Facciamo in modo che i milioni di futuri visitatori di Parigi si godano l’arte, lo shopping, i dolci e i selfie al padiglione Mona Lisa Sheikh Zayed-Louis Vuitton-Samsung Galaxy-Ladurée Macaron. E poi che riscoprano il Louvre come un museo”, e non come un contenitore di una singola celeberrima tela. Tela scelta anche per rappresentare il potere economico e non solo dei gigamiliardari del tech, nell’ultimo film di Rian Johnson, Glass Onion, dove il personaggio interpretato da Edward Norton, un Musk/Bezos/Zuckerberg sopra le righe, prende il quadro come garanzia per un prestito fatto allo stato francese.

 

Un eventuale oasi-Gioconda hors-Louvre servirebbe anche per capire chi va a Parigi solo per vedere la Mona Lisa (dietro un vetro, tra le folle, per pochi secondi, a volte senza nemmeno riuscire ad avvicinarsi, più facile vederla fotografata sullo lo schermo di un vicino più alto, come si fa ai concerti). Secondo uno studio del museo, l’80 per cento dei visitatori si presenta in rue de Rivoli solo per il ritratto leonardesco. Edmund White, americano che vive a Parigi, autore di libri come The joy of gay sex, The Flâneur e una bio di Proust, dice che “Questo culto di un icona deve finire, con i turisti americani che discendono sul Louvre e non hanno idea di cosa stanno guardando”. Ma le proposte di limitazioni riaprono il vecchio dilemma a rischio elitismo: di chi sono le opere d’arte? Di chi sono i musei? 

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