terrazzo - quarta parete
Le case dei Fleishman
Nella miniserie disponibile su Disney +, la raffinatezza ha molto a che fare con le case in cui si abita. Come quelle dei due protagonisti, che raccontano due New York diverse
"La raffinatezza è una lingua. O la impari da piccola o si sentirà sempre l’accento”. Quella di cui parla Rachel Fleishman in “Fleishman a pezzi”, miniserie su Disney +, a New York ha moltissimo a che fare con le case in cui si abita. Emblema del potere d’acquisto e dello status quo che si è ereditato o si è raggiunto, la casa qui rappresenta il simulacro variamente arredato che fa da termometro del proprio benessere sociale (e quindi, all’occorrenza, anche interiore). E infatti di case cittadine e di villeggiatura, di asili costosi da 40 mila dollari l’anno, di musei e teatri è infarcita la serie che fa suo lo spirito “alleniano” e lo rielabora, raccontando i quarantenni benestanti di Manhattan e dintorni attraverso il filtro delle loro abitazioni.
Qualche dato di contorno: tratta dal romanzo di Taffy Brodesser-Akner, la serie racconta di una coppia di professionisti: Toby (Jesse Eisenberg) è un medico di origine ebraica (300 mila dollari l’anno di stipendio, considerato un poveraccio solo nel quadrilatero di vie dell’Upper East Side in cui vive con la famiglia), sua moglie Rachel (Claire Danes) è un’agente teatrale di successo. Freschi di divorzio, hanno due figli che Rachel porta dall’ex marito per il weekend per poi sparire nel nulla. Lo scarto siderale tra le vite dei protagonisti è precisamente rimarcato dai luoghi che si trovano ad abitare.
Toby prende in affitto un bilocale anonimo (building dai molteplici piani e dai corridoi labirintici, parquet a quadrotti, pareti bianche e vuote) dalle cui finestre vede i grattacieli dove è rinchiusa la sua vita di prima. Rachel invece rimane ad abitare nell’Upper East Side (precisamente 866 East 91st Street) in un grande appartamento con mobili di design e sculture alla Moore. I figli frequentano la scuola privata e il centro culturale 92nd Street Y (dove Toby viene trattato come un pezzente ma dall’animo nobile poiché medico. “Good for you”, gli ripetono ossessivamente). Sul fronte seconde case: un cottage sulla spiaggia negli Hamptons – arredi chiari, parquet, camino in pietra, patio e giardino vista mare con piscina – e una magione (seconda di quattro, si specifica) di alcuni amici a Saratoga, soprannominata Paniquil dal nome dell’antidepressivo inventato dal padrone di casa. Qui lo sfarzo impera: esterno in cotto e mattoni, interno con balaustre intarsiate, mogano come se non ci fosse un domani, ampio camino, boiserie e arredi scuri che virano fino ai toni del verde.
Di tutt’altro genere è la casa di Libby, amica del college di Toby che è andata ad abitare in New Jersey: villa singola in legno, ampio giardino sul retro per fare il barbecue, toni caldi, arredi che mescolano sobrietà a punti di colore più accesi. Una casa con una vita che si muove al suo interno, desiderabile ma non sempre desiderata. Sì, perché le quattro mura che perimetrano gli spazi vitali dei protagonisti finiscono per essere ciò che connota la loro identità. Un biglietto da visita senza scritte e una gabbia che rende più difficile cambiare. E forse non a caso Rachel fa la sua ricomparsa a Central Park. Lì non ci sono muri, arredi, opere d’arte o sfarzi da ostentare. Lì quello che rimane, magari sdraiato sul prato sotto un grande albero, è solamente sé stessi. “Ricordare cosa significa essere me. E’ sempre questo il punto”.