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Terrazzo

Il mare del Duce. “Andare per colonie estive”, mappa delle vacanze dei balilla

Giulio Silvano

Nel libro di Stefano Pivato la mappatura dei luoghi dove ogni estate durante gli anni Trenta andavano più di un milione di bambini. Da Stella Maris di Montesilvano a quelle neofuturiste fluviali di Gaudenzi

Post colonialismo, ma non nel senso che va tanto adesso. Colonie non nel senso di Eritrea o Somalia o Etiopia, ma colonie estive, una di quelle cose che i cripto-semi-nostalgici inseriscono a volte nella lista delle “cose buone” fatte dal fascismo, insieme ai treni in orario e chissà, l’Inps, la bonifica dell’agro-pontino, l’autarchia linguistica… (su questo c’è un libro di Filippi che sgama la retorica celebrativa ex-post, Mussolini ha fatto anche cose buone, le idiozie che continuano a circolare sul fascismo, utilissimo in tempi meloniani e soprattutto larussiani).

Il regime, conscio dell’importanza della scolarizzazione come strumento di brainwashing, capì che l’educazione poteva continuare anche nei mesi estivi, cogliendo un altro piccione, cioè rendendo contenti i genitori che così non dovevano trovare dove sistemare i bimbi, sicuri che l’aria piena di iodio avrebbe giovato ai loro polmoni urbani. Oltre un milione di bambini negli anni Trenta, ogni estate. Così ci troviamo una costellazione di nuovi edifici per ospitare i futuri balilla che vengono costruiti anche di notte, per far prima, con il nuovo amato calcestruzzo, soprattutto sulle coste, e in particolare in un pezzo di mare che è quello dove si bagnava il Duce – che fa un rebranding in “grande babbo spirituale dei fanciulli” – cioè l’Adriatico, in quella fetta che va da Marina di Ravenna a Senigallia.

Qui spuntano questi edifici un po’ scuole un po’ ostelli un po’ palestre, che mantengono la splendida estetica razionalista con ammiccamenti alla Roma antica. È prima che sul lungomare di Riccione arrivino i vari Loris Batacchi, le discoteche e le ragazze con la valigia, quando quelle spiagge hanno appunto il pregio di esser le preferite di Mussolini, orgoglioso romagnolo. 

Nel libro Andare per colonie estive, uscito da poco per il Mulino, Stefano Pivato ha costruito una mappatura di questi luoghi per i fanciulli del regime. Si analizzano i crismi architettonici, le figure chiamate a costruire i luoghi di vacanza, come l’arc. Camillo Nardi Greco, che colonizza le valli sopra la Liguria, o Vittorio Bonadé Bottino, maestro dei complessi sciistici cari agli Agnelli che costruisce la torre-colonia di Marina di Massa, emblema “della democratizzazione del tempo libero” per i dipendenti Fiat. Bellissima la colonia Stella Maris di Montesilvano di Francesco Leoni, o quelle neofuturiste fluviali di Carlo Gaudenzi nel cremonese. Ma vediamo anche cosa se n’è fatto dopo – il post colonialismo, appunto – dopo un riutilizzo nel dopoguerra ad opera di associazioni, laiche e no, vediamo quali sono diventate hotel a sei stelle e quali invece sono abbandonate e mangiate dall’edera. Nessuna via di mezzo, o lusso turistico o degrado.

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