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Interno Matticchio
La casa. I piccoli appartamenti sono la sua ambientazione preferita e di sicuro è l’artista che ha disegnato più interruttori e copriprese al mondo. "Bambini nascosti", una mostra fino al 7 maggio alla Galleria dell’Incisione di Brescia
A casa Matticchio ci sono spigoli da aggirare e ombre in cui tuffarsi. Il battiscopa si chiama ancora zoccolino e il televisore mostra la fine delle trasmissioni. Il letto è alto, da nascondersi sotto, la poltrona è di un verde immutabile. Un gatto sbadiglia, un ombrello è caduto per terra. E’ la casa di qualcuno che ci si è appena trasferito e di qualcuno che se ne sta per andare.
Franco Matticchio ci ha ipnotizzati con, tra gli altri, “Animali sbagliati” (Vànvere edizioni, 2016 e 2020), un doppio “Libretto postale” (Vànvere, 2012 e 2014), “Donne” (Lazy Dog, 2019), illustrazioni, dipinti nonché svariati “Sogni e disegni” (Nuages, 1997), mascherando con cura la sua ossessione figurativa: la casa. I piccoli appartamenti sono la sua ambientazione preferita e di sicuro è l’artista che ha disegnato più interruttori e copriprese al mondo, soprattutto nell’ultima raccolta “Bambini nascosti” (Vànvere, 2023), al centro di una mostra in corso fino al 7 maggio alla Galleria dell’Incisione di Brescia. Si tratta di interruttori rigorosamente stondati, di quel modello allo stesso tempo agée e senza età che, grazie a un insperato fondo di magazzino, è riuscito a farsi installare dall’elettricista nella sua casa di Varese, città in cui è venuto al mondo e in cui vive da sempre.
“Forse disegno case perché sono nato in casa”, dice Matticchio, nato nel 1957 in via Cimabue. Una strada, un destino d’arte: “Se fossi nato in ospedale, magari avrei fatto il ragioniere”. Forse. Di certo, in giovinezza è rimasto folgorato dall’iperrealismo che a tratti sconfina nel surrealismo, con una data precisa: 1973. “Avevo convinto gli insegnanti del liceo a portarci in gita alla Rotonda della Besana, a Milano, per una mostra con Domenico Gnoli, Antonio Lopez Garcia e Lienhard von Monkiewitsch, quello che disegna le stanze solo con gli zoccolini. Era la prima volta che li vedevo, mi colpirono molto”, che è il suo modo discreto per dire che gli si fissarono in testa. In uno dei suoi dipinti più belli, Cactus, del 1988, un piatto di minestra calda è appoggiato su un tavolo al centro di un tinello con i mobili chiari e stondati, elettrodomestici senza obsolescenza programmata. E’ una scena dei primi anni Sessanta, con un paio di scarpe ai piedi di un mobiletto, un ombrello sdraiato su un tappetino e un cactus, per l’appunto, sul tavolo. E’ inutile chiedergli il perché di questi elementi: “Disegno in una specie di trance. Non so dove vado, lascio che sia una sorpresa anche per me”.
Prima illustrazione nel 1979 sul Corriere della Sera, una rubrica che riprende il suo nome sul domenicale del Sole 24 Ore (“Matticchiate”), tra il 2007 e il 2015 ha collaborato anche con Gioia Casa, confrontandosi a suo modo con il design. “Non riesco a disegnare niente di contemporaneo, al massimo sono arrivato ad Alvar Aalto”, dice, riferendosi a un disegno intitolato “Salto in Aalto” in cui la celebre poltrona dinoccolata salta tra due lampade. Per il resto, le case di Matticchio sono piene di assenze, avvolte da un’atmosfera che rassicura perché è familiare e che turba come una porta semichiusa. “Mi piace che ci sia qualcosa di inquietante, che spiazza”, racconta. Come la sagoma di un asino che spunta dall’ombra di un corridoio. E se poi si ha paura, si può sempre premere l’interruttore.