Ca’ Scarpa, a Treviso (foto Fondazione Benetton) 

terrazzo

Obiettivo su Scarpa

Giacomo Giossi

A Treviso le fotografie del giapponese Sekiya Masaaki

L’armonia delle forme, in architettura, diceva Carlo Scarpa è un linguaggio misterioso, difficile da comprendere e cogliere: come un viso che contiene riferimenti noti, ma anche aspetti ignoti. Un mistero che accoglie il visitatore già all’esterno dell’esposizione del fotografo giapponese Sekiya Masaaki a Ca’ Scarpa a Treviso
Ca’ Scarpa è la ridenominazione della Chiesa del Cinquecento di Santa Maria Nova – parte di un complesso benedettino comprendente cinque chiostri – che in precedenza aveva ospitato l’Intendenza di Finanza e che ora la Fondazione Benetton ha restaurato sulla base del progetto di Tobia Scarpa (figlio di Carlo). La facciata totalmente intonacata offre solo una piccola scritta, quasi invisibile, apposta sul portone di legno: “Ca’ Scarpa”.

  

Una lezione di raffinato minimalismo in un contesto fortemente stratificato e al tempo stesso ricco di riferimenti storici, artistici e anche di costume come solo la provincia italiana è da sempre capace di offrire con risultati non di rado che virano più al kitsch che alla consapevolezza culturale. Ca’ Scarpa invece riesce a offrire una tensione quasi erotica tra la sua storia e la sua interpretazione, tra lo spazio e le fotografie di Sekiya Masaaki che dialogano in campo aperto con l’opera di Carlo Scarpa. Gli spazi interni cambiano però ancora la percezione, e l’effetto è quello di essere catapultati nel reparto macchine, nella pancia profonda, di una grande nave. Qualcosa di simile al Centre Pompidou di Piano & Rogers solo che in questo caso si avverte uno slittamento non verso la luce, ma verso il buio delle profondità. Il rapporto con le fotografie esposte raggiunge così un equilibrio straordinario in cui è possibile comprendere appieno l’ossessione di Masaaki per Scarpa attraverso non solo gli stilemi di Scarpa che richiamano anche esplicitamente il minimalismo orientale, ma nello sguardo del fotografo rivolto alle strade di Tokyo.

 

Come in un lavoro di giustapposizione il visitatore comprende la vicinanza e la distanza, l’ossessione e la comprensione che legano l’architetto e il fotografo in un tempo altro, non di relazione diretta, ma di reciproca comprensione del senso dell’armonia. La mostra raccoglie 85 scatti compresa una sezione dedicata alla fotografa Hattori Aiko che testimonia anche le qualità di talent scout di Sekiya Masaaki. Dunque non semplicemente un omaggio a Carlo Scarpa, ma la rappresentazione di come la qualità fotografica di Maasaaki non sia altro che l’elemento finale, fondamentale ovviamente, di una porosità intellettuale straordinaria. Un rapporto quello con l’architettura di Carlo Scarpa che diviene esistenziale, ovvero parte integrante di un modo di vedere e dunque di vivere. Motivo per cui Carlo Scarpa è il perno attorno a cui si svolge la mostra, ma non ne è la totalità che offre invece uno sguardo completo sul lavoro sia legato alle architetture sia alla street photography di Sekiya Masaaki. Un lavoro di curatela merito di J.K. Mauro Pierconti che restituisce appieno il senso di un percorso culturale che la stessa Ca’ Scarpa non solo offre, ma rappresenta appieno. 
 

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