Terrazzo
I gattopardi a villa Ajroldi
Un volumetto sontuoso ne ricostruisce storia e architettura. Quando, intorno al 1775, i fratelli Alfonso e Stefano Ajroldi cominciano la costruzione della loro residenza suburbana, la grande stagione architettonica delle ville ai Colli stava già volgendo al termine
Mentre Roma si avvia a realizzare la profezia di Francesco Saverio Nitti (“l’unica capitale mediorientale senza un quartiere europeo”), disseccata nell’anima e nell’alberatura, nel nuovo clima tropicale con trenta gradi e monsone pomeridiano (tra i soliti autobus che prendono fuoco e il solito sciopero del venerdì), l’unico modo per sopravvivere è fingersi archeologi, o turisti alla Henry James, o ancora meglio sentirsi degli Chevalley in gita verso Donnafugata. Impolverati si gira per la città, guardando alle antiche vestigia di epoche migliori, o con vaghe speranze al futuro, sperando che qualcosa cambi. Ecco allora novità squisite tra le rovine. A Caracalla ha appena aperto, nel trentesimo anniversario degli attentati mafiosi, “Senza fine”, la mostra di Letizia Battaglia, suprema fotografa di impegno palermitano.
La Soprintendenza le dedica questa esposizione curata da Paolo Falcone, inaugurando due nuovi ambienti delle Terme. Allestimento molto “Bo Bardi”, con foto fluttuanti nei loro cavalletti trasparenti tra le navate e i mosaici colossali (e uno si aspetta la giraffa della Grande bellezza irrompere da un momento all’altro), la mostra è aperta al pubblico fino al 5 novembre con le sue 92 fotografie di grande formato che riassumono cinquant’anni del lavoro (1971-2020) di Battaglia; immagini celebri oppure meno note come quella che sta sulla locandina e non parla di mafia ma di mondanità, mondanità naturalmente molto gattopardesca. E’ una foto scattata a Villa Ajroldi a Palermo, una festa di Capodanno, dove il bianco e nero battagliesco si spinge fino al limite di uno Slim Aarons impegnato ma leggero, una ragazza che balla. Mi raccontano che per anni Battaglia venne inviata dal quotidiano L’Ora a raccontare i capodanni che si svolgevano in quella villa, tra borghesia, politica, residui di aristocrazia. In particolare la ragazza nella foto era sempre triste, ma in quello scatto sembra viva, pervasa da una strana energia.
Oltre a quello adibito alle feste, in un altro ramo tutto diverso della villa vive discretamente una nota dinastia di aristocratici riflessivi. Adesso Cesare Ajroldi, architetto e padrone di casa, in un volumetto sontuoso ne ricostruisce storia e architettura (“Villa Ajroldi. Gli architetti, la memoria”, edizioni Caracol, Palermo). E’ una villa piena di palermitudine, c’è il ritratto di un monsignore di casa che avrebbe ispirato Manzoni per Don Rodrigo e pure quello di un abate raccontato da Sciascia nel “Consiglio d’Egitto”. E poi non manca una scala del Basile, e leggendari arazzi gonzagheschi. Villa Ajroldi, una delle ultime costruite nella piana dei Colli, è anche una delle poche ancora abitata dalla stessa famiglia (per oltre 250 anni). La “casina”, così chiamata in quanto residenza fuoriporta all’epoca dell’edificazione, fu per l’esattezza la penultima delle ville dei Colli, sia nello spazio che nel tempo, essendo villa Ranchibile l’ultima.
“I Quattro Canti di Campagna, assonanti a quelli di Città, centro geometrico della città storica, erano il centro geometrico della nuova espansione oltre le mura, e conservano ancora nel parlare comune questa denominazione”, scrive Ajroldi. E ancora: “il giardino, sia pure attraverso cambiamenti di coltivazioni anche radicali, è rimasto uno dei pochi sottratti agli appetiti di una città volta, come è noto, a una specie di autodistruzione”. Il progetto della villa è di un grande architetto del neoclassicismo siciliano, Giuseppe Venanzio Marvuglia. Non mancano naturalmente memorie famigliari bizzarre, le origini lombarde (certi Ajroldi erano conti di Lecco), gli incroci con i fiorenti Caprotti-Esselunga, gli antenati che girano per via Roma in pigiama, e tutto quello che ci si aspetta da una vera villa gattopardesca.
Proprio mentre sono iniziate le riprese del Gattopardo nella nuova versione Netflix, a Palermo. E del resto la villa ha la sua bella citazione lampedusiana. Mentre il Principe di Salina contempla la fine del suo mondo, “All’ingresso dei sobborghi della città, a villa Airoldi”, qui con la “i”, “una pattuglia fermò la vettura. Il coupé appesantito andò più lento, contornò villa Ranchibile, oltrepassò Terrerosse e gli orti di Villafranca, entrò in città per Porta Maqueda. Al caffè Romeres ai Quattro Canti di Campagna gli ufficiali di guardia scherzavano e sorbivano granite enormi” . Avamposti della città e “fin de race”, pure architettonica, esiste qualcosa di più chic? Quando, intorno al 1775, i fratelli Alfonso e Stefano Ajroldi cominciano la costruzione della loro residenza suburbana, la grande stagione architettonica delle ville ai Colli stava già volgendo al termine.