Terrazzo
Urbanistica berlusconiana. La sera andavamo in via Rovani
Dal disegno di Villa Borletti nel 1894 all'irruzione in grande stile del Cav. nel centro di Milano negli anni 70
L’autobiografia di una nazione può passare anche per la storia di una via cittadina e del suo contesto che non è solo fisico, ma fantasmatico. Via Rovani è tornata alla ribalta dopo i funerali di Silvio Berlusconi perché negli anni 70 il Cav. decise di fare irruzione nel centro di Milano in grande stile, alla sua maniera. Via Rovani 2, dunque, tra il ponte che porta alla Triennale e al Parco Sempione e via Leopardi, altra via molto signorile, parallela alla ferrovia e quindi alla stazione Cadorna. In origine, nel 1894, Villa Borletti era stata disegnata da Francesco Solmi per la famiglia Scotti Martignoni; viene rilevata nel 1917 da Senatore Borletti che subito affida a Piero Portaluppi una risistemazione. I fratelli Borletti avevano dato vita alla Rinascente, primo grande magazzino di lusso coniato da Gabriele D’Annunzio che non a caso si era visto finanziare l’impresa di Fiume proprio da loro. Nel 1921 Borletti è primo presidente della nuova Arnoldo Mondadori Editore, nel 1928 della linea di grandi magazzini più a buon mercato Upim, mentre quando nel 1931 nasce la concorrente Standa fra i soci fondatori c’è comunque una cognata, Virginia Monzino moglie del fratello Nando. Bei precedenti insomma. Per una seconda volta la villa viene ristrutturata da Ignazio Gardella nel 1935-36 ampliando il piano terra e usando materiali preziosi come il granito grigio del Boden per meglio esporre la collezione di famiglia, prendendo Mies van der Rohe a modello.
E’ un debutto di impressionante maturità per un ingegnere appena trentenne, ancora nel 1951 Gio Ponti – anche lui nato da queste parti – su Domus scriveva che Gardella qui ha realizzato “non dei vani (dove i muri scompaiono e sono solo dei limiti) ma un gioco dei muri nello spazio stesso, nel qual gioco i muri con i loro spessori visibili e le loro superfici sono parte ed espressione dello spazio”. Nello stesso anno infatti Tomaso Buzzi la stava ristrutturando e arredando nuovamente. Nel 1967 muore prematuramente il figlio di Senatore, Aldo detto Micio, dopo liti ereditarie varie avviene l’acquisto da parte di Silvio Berlusconi. L’altro giorno su Repubblica, Michele Serra ricordava “C’era molta moquette. Si entrò negli anni Ottanta camminando su ettari di moquette. In via Rovani, sede della Fininvest, era ovunque… il nuovo aziendalismo prometteva agli italiani di camminare sul morbido”. Nel 1994, durante un ricevimento alla Reggia di Caserta alla presenza di Bill Clinton, la figlia di “Micio” incontrò il nuovo premier apostrofandolo gelidamente “Certo, da quando ha comprato la nostra casa a oggi ha fatto una lunga strada, presidente” (Ilaria Borletti Buitoni, Cammino controcorrente, Mondadori). Ora è il turno dell’ultimogenito Luigi, speriamo che l’ultima ristrutturazione abbia salvato l’ala Gardella. Il resto di via Rovani è più discreto, appena attraversata via Vincenzo Monti dove ancora sferraglia il tram 19 uguale a quello dei paesaggi urbani di Mario Sironi, entra in azione una sorta di silenziatore. A sinistra alti palazzi liberty, molti dei quali interamente ricoperti da edera o glicine; a destra villini e cottage d’altri tempi, a volte neorinascimentali com’era il gusto prediletto dai cumenda prima dello stile floreale. L’atmosfera è più bucolica che urbana, non è raro vederci girare qualche scoiattolo o Fedele Confalonieri. Qui hanno vissuto famiglie borghesi di ogni estrazione, gli alsaziani Falck, i mantovani Recordati, qui è nata Franca Valeri, qui aveva studio l’architetto-designer Alberto Rosselli e al numero 7 c’è anche una pietra d’inciampo dedicata a Giulio Ravenna, cugino di Alberto Segre e padre della senatrice Liliana che peraltro vive ancora in zona Magenta, a due passi da qui. Ma chi era poi questo Giuseppe Rovani? Scrittore scapigliato e dunque antimanzoniano, nato e morto in povertà, partecipò ai moti del 1848 e fu costretto all’esilio in Canton Ticino dove si legò a Carlo Cattaneo e Carlo Dossi che nelle Note azzurre così lo ricorda “La Scala era il suo regno. Intorno a lui si affollavano gli artisti e i letterati per sgraffignargli qualche frase per il giudizio del momento, e per la critica dell’indomani. Il giudizio di Rovani girava in un istante la sala”.