Terrazzo
Fuorisalone estivo a Villa Medici
Capanne, allestimenti temporanei, e la sfida di "modernità" e "mobilità". Passeggiate all'Accademia di Francia per sentirsi un po' a Milano
Milano trema se Roma si dota di una sua “Alcova” cioè il ricettacolo di novità di design in una cornice di decadenza sgarrupata, l’idea geniale di Valentina Ciuffi e Joseph Grima, ormai da tutti considerata come “la” cosa da vedere al Salone del mobile di Milano.
Certo, ai romani in visita viene subito in mente che con tutte le fatiscenze disponibili, a Roma ci si potrebbe fare una mega, iper, maxi Alcova permanente. Si sa anche che il bello di Milano è che tutto è collegato, impacchettato, reclamizzato, impossibile mancare ai fondamentali eventi, tutti vanno e la Fomo ti risucchia. A Roma è il contrario, far uscire la gente di casa è durissima, “bisogna appendere il prosciutto”, storicamente, pesano le distanze e le indolenze e i relativismi (cosa mai ci sarà di bello, avendo già visto il Pantheon e il Colosseo e le Terme di Diocleziano venticinque volte?). Invece ovviamente qualcosa c’è. Così può esser molto piacevole d’estate fare un salto a Villa Medici, avamposto di bellezza cinquecentesca in coppa a piazza di Spagna, già ufficio di Balthus, dove oggi il successore e nuovo direttore Sam Stourdzé ha deciso di trasformare l’alto luogo in epicentro di modernità e “mobilità”, due parole che da sempre terrorizzano Roma.
Ecco allora un piano triennale di sistemazione degli interni come gran showroom di brand francesi e anche italiani (ma comprati dai francesi): prima una “azione” di arredi Fendi sulla villa, adesso tocca alla fondamentale designer franco-iraniana India Mahdavi che ha ridisegnato le stanze e i saloni con interventi di colori saturi che stanno benissimo; bagni con molte mattonelle variopinte e poi letti strepitosi, arazzi nuovi che si affiancano a quelli antichi Gobelins in collaborazione coi meglio designer emergenti francesi (su pareti decorate da Balthus même). Già ci sono shooting e sembra di stare a Milano. Ma con grandiosità data dagli spazi e dalla storia: l’effetto è il solito che si verifica a Roma, dove abituati al nulla e all’immobilismo, tutto ciò che avviene di nuovo sembra strepitoso.
Fuori, nel grandioso giardino già visto nella “Grande bellezza” e punto più alto di tutta la città, a parte le superflue installazioni di automobili conficcate nel terreno (“Bad timing” di Théo Mercier), dietro le frasche ecco il molto più interessante “Festival des cabanes”, cioè una serie di capanne, case sugli alberi e cabin realizzate da architetti artisti e ricercatori e che per la seconda edizione, fino a ottobre, si possono visitare tra la frescura e la verzura. La capanna ha una lunga tradizione, già ha affascinato archistar esimie come Le Corbusier e oggi è di gran moda in Nordamerica. Sette progetti sono stati selezionati quest’anno, realizzati da ArchiSculpteurs, Atelier CRAFT, Atelier Poem, Aurel Design Urbain, Nelson Wilmotte Architectes, Offset e Orizzontale. Esposte all’aperto per quattro mesi, queste strutture, spesso realizzate con materiali riciclati o nel quadro di un approccio eco-responsabile, offrono al pubblico una rinnovata esperienza dei giardini di Villa Medici e invitano a ripensare la tematica dell’abitazione modulare e sostenibile e il nostro rapporto con la natura.
Si va da abitacoli che si vorrebbe immediatamente affittare su Airbnb come COPACABANON, “capanna” autonoma pensata per un insediamento in ambiente isolato, progettata dallo studio Nelson Wilmotte Architectes, che trae ispirazione dalle costruzioni tradizionali giapponesi dalle linee essenziali (sopraelevata, con orto, e vista pazzesca) all’albero un po’ Mad Max e Burning Man della Parasol Tree House, obelisco ingegnerizzato che raccoglie acqua piovana e fa ombra agli umani (Atelier Craft) alla foresta profumata di arbre magique “Timidité des cimes”, (“timidezza delle chiome”) che è un elogio al bosco sacro della mitologia. Lì ci si immerge in una foresta sgocciolante resina di pino, la specie per eccellenza del paesaggio romano (se sopravviverà alle siccità e alla mancanza di manutenzione). Insomma, tutto eccellente, e Alcova trema: a proposito, non si sa se il format milanese arriverà mai nella capitale, ma apparirà di sicuro per la prima volta a Miami, in un hotel degli anni Cinquanta, e in una rimessa di moto d’acqua, durante Art Basel a dicembre, e già si sa che diventerà ganzissimo, lanciando la moda dello sgarrupo floridiano, mai più senza, vabbè.