TERRAZZO

Il rebus eterno della casa

Manuel Orazi

Loft effimeri o tinelli borghesi? Il mistero dell’abitare. Un saggio

Il recente dibattito innescato dagli studenti in tenda per protesta contro il caro affitti nelle grandi città italiane ci interroga sui problemi abitativi che localmente possono differire, ma in generale sono condizionati da normative sempre più asfissianti. Già negli anni ‘50 Giancarlo De Carlo se ne lamentava, arrivando a concludere trent’anni dopo che “La tipologia ha smesso di essere catalogazione analitica a posteriori ed è diventata rassicurante ideologia a priori”. Giordana Ferri e Alessandro Scandurra offrono ora in un pamphlet dal titolo enigmatico, Casa Rebus (LetteraVentidue) una serie di domande e  di spunti su come si debba o possa abitare nel XXI secolo.

 

Possibile che ancora oggi la casa sia intesa come una brutta copia sempre più ristretta degli interni borghesi ottocenteschi, ovvero sala da pranzo-salone-salottino-camere da letto-gabinetto-studio? Inoltre il funzionalismo tipologico novecentesco, così caro alla burocrazia, ha prevalso nonostante tutto, e la rivoluzione dei loft dell’era hippy e pop, delle utopie radicali fiorentine e viennesi sembrano passate invano. Gli autori condividono dunque la recente preoccupazione espressa da Emanuele Coccia in Filosofia della casa (Einaudi): “In ogni casa si ha sempre l’impressione che l’orizzonte del possibile morale si restringa e non si allarghi, che sia necessario adeguare la nostra vita alla rozza geometria euclidea, che per inspiegabili ragioni è stata considerata la chiave di un’esistenza felice”. Insomma è difficile uscire dagli schemi precostituiti non solo dal mercato immobiliare, ma anche dall’ideologia tipologica che tanto ha imperversato nel secolo scorso dapprima sull’onda del funzionalismo modernista e poi sulle ali dello strutturalismo che ha avuto in Carlo Aymonino e Aldo Rossi i capiscuola del difficile connubio morfologia urbana-tipologia architettonica.

 

La mostra a cura di Nina Bassoli in corso alla Triennale di Milano, Home Sweet Home (fino al 10 settembre, catalogo Electa) tratta lo stesso tema sebbene con ambizioni più politiche in linea col riaffiorare di letture neofemministe e neomarxiste la cui stella polare è The Grand Domestic Revolution (MIT Press 1981) di Dolores Hayden. Viceversa Ferri e Scandurra tralasciano questo tipo di lettura, limitandosi a indicare due registri: quello della “prosa edilizia” e quello della “poesia” rivoluzionaria insita nei progetti “di Le Corbusier, di Mies van der Rohe e più avanti di Gio Ponti, e alla libertà compositiva proposta.

 

Abitazioni completamente schiuse verso l’esterno, vani aperti e insieme schermati in un susseguirsi fluido di spazi, distribuzioni trasformabili” che potrebbero aiutarci ancora oggi a ripensare la produzione di massa. Se pensiamo ai vecchi trattati rinascimentali e illuministi, viene da pensare che il problema è insomma irrisolto da sempre.

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