Cher ha messo sul mercato la sua villa sull'oceano a Malibu il 12 agosto 2201, al prezzo richiesto di 25 milioni di dollari (Foto di Jason Kirk/Getty Images) 

Terrazzo

Da Thomas Mann a Beyonce, Malibu e il sogno della seconda casa

Michele Masneri

Los Angeles continua col suo genius loci immobiliare. Porta principale per le stelle, da sempre si porta il sogno-incubo di una casa al mare

Santa Monica. Gran terra dorata per gli architetti oltre che per i più ovvi cinematografari, Los Angeles continua col suo genius loci immobiliare. Se al museo Moca si celebra il suo stesso progettista Arata Isozaki, che negli anni Ottanta fa questo mammozzone giocoso molto stazione di Lambrate, oggi l’archistar più richiesta è di nuovo giapponese. Guidando sulla “1” tra le nebbie e le foschie da Los Angeles verso Malibu, si cerca di sbirciare, di sotto, dove mai sarà il casone progettato da Tadao Ando per i fondatori di “Beautiful” Bill e Maria Bell, e ora passato per 200 milioni di dollari, la casa più cara di California, a Beyoncé e Jay Z. Ma naturalmente non si vede,  tra strade sbarrate, mentre giace non finita un’altra primaria villa dell’architetto giapponese per un’altra primaria star losangelina-globale, Kanye West, in crisi coniugale (e l’ex coniuge Kim Kardashian sta pure trattando per una casa con Ando, forse per ripicca, e posta dei selfie con l’archistar).

 
Insomma qui, porta principale per le stelle, da sempre si porta il sogno-incubo di una casa al mare. Si svolge tutto in un cantiere tipo “Amore mio aiutami”, in un villone in costruzione anche “Gli ultimi fuochi” di Francis Scott Fitzgerald, romanzo di seconde case, con il protagonista ispirato a David Thalberg e la voce narrante  a Irene Selznick, il cui papà, Louis B. Mayer, a un certo punto decise di fondare la Academy coi relativi Oscar per mettere freno agli scioperi delle maestranze, concedendo quella statuetta ad attori ma anche tecnici, poiché erano entrati in sciopero ritardando  la sua villa che voleva pronta in sei settimane. Ambitissima, da sempre, questa zona, ventilatissima, anche un po’ sinistra. John Paul Getty vi edifica la sua villa dei papiri che sembra una casa di Barbie e pure Thomas Mann a un certo punto si costruisce la sua

 
Quando lo scrittore tedesco va a vivere in America, presto stufo del freddo di Princeton, si fa fare una casa qui, basta leggere il meraviglioso “Il Mago”, romanzo biografico di Colm Tóibín sull’autore dei Buddenbrook, uscito quest’anno per Einaudi. Peripezie, anche immobiliari. Ci mettiamo sulle tracce di Mann, inerpicandoci in una zona di viette super manutenute e manti erbosi degni di Palm Beach. Eccoci tra le più leziose stradine fiorite di Pacific Palisades, tra “Amalfi”, “Capri”, “Monaco” e poi finalmente “San Remo drive”: una casa modernista ma non troppo, bianca, che starebbe bene al Forte; che il premio Nobel si fa fare da un certo J.R Davidson, pure lui tedesco, pure lui rifugiato. Signorile, grandi finestre, terrazzi, niente soluzioni troppo innovative nonostante siamo nel mezzo di una rivoluzione con tutti questi architetti émigrés arrivati dall’Europa: Van der Rohe e Gropius, e soprattutto il formidabile Richard Neutra, lo stilista della colonnina d’acciaio, l’inventore del “California modern” oggi di massima moda che concilia l’architettura garagistica con i più elaborati concetti da Loos in giù. E comincia a costruire fantastiche ville sparse per tutta Los Angeles (e non solo: ecco la sexy Kaufmann House a Palm Springs per le dolci vite tra i deserti).

 

Ma Mann niente, non ne vuole sapere di Neutra. Troppo moderno, le sue case sembrano “scatole di vetro”. Preferisce la mediocrità borghese della sua villa bianca, forse metafora architettonica di tutti i tentennamenti dello scrittore (schierarsi o no contro il nazismo? Dirne quattro ai figli disgraziati? Fare finalmente coming out, oltretutto in una comunità dove fervono, proprio nel canyon di fronte, Isherwood, Auden, spesso con a pranzo Capote e Vidal, con le muscle beach a due passi? No, Lui niente). Pare che appena arrivato in California lo introducono subito a Neutra, che è austriaco, si piaceranno, pensano, macché. Mann lo detesta subito, non ne vuole sapere, lo evita alle feste, e alla fine la casa vien fatta da questo Davidson (ma poi ci litigherà, come spesso accade, per le parcelle lievitate in corso d’opera. Mentre Neutra è famoso per gli ottimi rapporti coi committenti).  


Mann e la moglie “amavano quella sua aria di fredda competenza”, di Davidson, scrive Colm Tóibín nel “Mago”; Mann partecipa attivamente al progetto, sa soprattutto cosa non vuole (finestre a tutta altezza che richiamino intrusi). Poi nel ’52 gli viene offerto di tornare in Europa, lui non vorrebbe, è abituato al sole della California, ma gli pare brutto (è fatto così) e finisce i suoi giorni in Svizzera. La sua casa sul mare passa di mano tra avvocati e annunci e nel 2016 stava andando all’asta senza che se la filasse nessuno, poi il governo tedesco l’ha rilevata facendoci una fondazione, spendendo un sacco di soldi nel restauro, ma tutto è molto segreto, non rispondono alle email, non vogliono seccature evidentemente (o forse fanno solo ferie molto lunghe). 

 

Diversi karma e mood invece a casa Neutra, tutta una festa. Venite pure! Anche fuori orario! Ecco un’open house per entusiasti di architettura a Silver Lake, un Pigneto fighettissimo con lago (ma è più una diga, tema fondante della città) dove si incontrano solo maschi e femmine con camicie leggere che vanno a yoga e ristoranti che offrono “tomato-tonnato” e baretti che vendono dolcetti per cani e per umani insieme (con consumazioni sul posto, e rischio di confondersi). Lì un vero “Neutra district”, il cui epicentro è la casa-studio che si fa per sé nel ’32: solo duecento metri quadri, che sembrano molti di più, sviluppati attorno ad alberi (la lezione di Lloyd Wright); piscinetta nel patio alla Tati e piscinona sulla terrazza (però ora a secco, l’acqua a Los Angeles è sempre un problema). Dopo aver fatto pratica nel sacro luogo di Taliesin West, Neutra arriva a Silverlake nel ’25 in una casetta modesta ma si imbatte nell’industriale illuminato Cornelis Van der Leeuw, che gli dice: tu non puoi abitare in una catapecchia del genere. Gli finanzia allora gratis quella che poi diventerà in suo onore la VDL research house, casa e bottega con piani superiori che guardano il lago. Oggi ancora con finiture e lavastoviglie e libri d’epoca, molta formica, cucine e passavivande e montavivande molto ingegnosi, la casa è l’epicentro di un miglio d’oro per gli appassionati di Neutra, che trovano, guardando ai civici, villette del maestro sbalzate tra cactus disseccati e cartelli “no trespassing” accanto a “Mc Mansion” bruttissime. La casa Neutra brucia nel solito (per la California) incendio nel ’63 ma loro la ricostruiscono con tecnologie nuovissime. Alla sua morte la vedova Neutra, quando le chiedono se vuole tornare in Europa, a differenza di Mann, dice: non ci penso neanche. 

 

Di fronte al Mago, ancora oggi, vicino di canyon, vive Don Bachardy, vedovo di Isherwood, pittore. Ha ormai 88 anni, è sempre più rimpicciolito in pantaloncini e canotta (nera). E gentile e tenero e un po’ perso via. Si rianima quando gli fai i complimenti, dice che i vecchi hanno il “dovere sociale” di essere in forma e meno mostri possibile.  Ci tiene molto e continua a ripetere che Chris era bellissimo e che tutti i fidanzati di Chris andavano in palestra, ma lui solo nel giro di tre mesi ha cambiato completamente il suo fisico. Lui Bachardy dice che andava in palestra alla Harvey Easton, la prima di Los Angeles, fondata nel 1938, dove si allenavano Cary Grant, Gregory Peck e Kirk Douglas e dove alla fine era diventato una specie di mascotte.  Ha la tv sempre accesa, e pare che abbia smesso di dipingere. In spiaggia non va più e non esce più tanto. Ci mostra la poltroncina nel suo studio dove faceva sedere i modelli, tra cui Natasha Richardson (ecco il ritratto, appeso) e l’ex governatore della California Jerry Brown (appeso). La seggiola ha delle rotelle, così i modelli si possono spostare. Dice che quando hanno comprato la casa con Chris hanno avuto problemi perché c’era una scala che attraversava la loro proprietà che aveva un diritto di passaggio pubblico (c’è ancora, interrotta dal loro terrazzo). Non male, essere usucapiti da Isherwood. 

 

Non lontano, a Santa Monica, veramente “land of Frank Gehry”, terra di un altro emigrato di gran successo (dal Canada). Gehry ancora sconosciuto ha disegnato il mall Santa Monica Place, oggi un po’ anonimo e molto bianco, tipo centro Maximus all’Eur, e soprattutto c’è la sua stessa casa, leggendaria, ancora sua, tutta onduline di alluminio e piramidine di cristallo (costruita aggiungendo un po' di pezzi per volta perché aveva pochi soldi, ma già con estro: i vicini gli han fatto causa per qualche oltraggio al decoro). L’ha fatta nel ’77 quando era ancora povero; aveva lavorato molto per l’architetto Viktor Gruen (ebreo viennese, emigrato pure lui, non ha disegnato case leggendarie, ma è unanimemente considerato l’inventore del moderno centro commerciale). 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).