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Terrazzo

Scandi wave a Copenaghen. Tour nella capitale mondiale Unesco per l'architettura

Giulio Silvano

Social + Eco, comunità e riuso, meno parcheggi più ciclabili, meno Ikea e più Lego. “Stiamo provando a rubare la corona a Stoccolma”, ci dice un architetto del posto

Copenaghen. “Stiamo provando a rubare la corona a Stoccolma”, ci dice un architetto danese, ridendo. Copenaghen è stata eletta Unesco World Capital of Architecture, titolo che manterrà per tre anni, e così non si vede l’ora, col tipico understatement socialista-monarchico-nordico di far vedere come si può vivere bene anche con la crisi, le inflazioni, le tende in Città Studi, lo scioglimento dei ghiacciai.

Social + Eco, comunità e riuso, meno parcheggi più ciclabili, meno Ikea e più Lego. Al Dac (Danish Architectural Center) tutti gli esempi virtuosi di come la capitale è in continua trasformazione per accogliere le decine di migliaia di nuovi abitanti che la scelgono ogni anno (oltre 30 mila nel 2022), e senza costruire grattacieli. Come se le Biblioteche degli Alberi e la pedonalizzazione degli angolini di strada a Casoretto – per metterci i ping pong – fossero all’ordine del giorno, una cosa normale e su larga scala, non un contentino per le famigliole ecolò di Milano est. Felicissimi nei video gli studenti che dormono nei container di 14 metri quadrati trasformati in residenze universitarie. Il Blox, l’edificio che ospita il Dac – oltre ad appartamenti, parco giochi, uffici, bistrot, coworking e palestre – è di Rem Koolhaas. Un cubone di Rubik destrutturato, in vetro scuro, che affaccia sul Nyhavn e fa da ponte sulla strada, dove le poche Tesla scorrazzano silenziose, accanto alle colonne di ciclisti con carrellino porta famiglie. Lì accanto i vecchi palazzi in mattoni, un po’ casa vichinga, sobrissimi da secoli, si alternano alle house boat rosse e gialle. 

 

La mostra So Danish!, sempre al Dac, fa vedere quanto la Scandi wave che a un certo punto, già negli anni 50, ha colpito gli Usa, è legata ai mobili più che agli edifici. Jacobsen, Mogensen, Panton, Wegner. Probabilmente saremmo tutti seduti su selle curule o su delle balle di fieno non ci fossero questi figliocci danesi del Bauhaus. La Wishbone, la serie 7, la Ant Chair, la Trinidad di Nanna Ditzel. Dov’erano seduti Kennedy e Nixon nel dibattito televisivo più famoso della politica americana se non sulla The Chair di Wegner? Arne Jacobsen, onnipresente, tra orologi, posate e font, ha anche progettato il primo grattacielo (e uno dei pochi) della città: Il Sas Royal Hotel. La stanza 606 è ancora conservata con tutti i mobili originali disegnati da lui, come la poltrona Swann, e basta chiedere per andare a vederla. Una time capsule che mostra l’elegantissimo perfezionismo ossessivo del designer, anche nella palette. Grande orgoglio nazionale anche per la panchina cittadina, creata nel 1888 per la Nordic Exhibition of Industry, Agriculture and Art, diventata modello per i parchetti europei. Difficile che un bar o un ristorante o un parco della città abbia brutte sedute. Si può non mangiare bene dappertutto, o avere freddo anche ad agosto, ma si è certi di sedersi benissimo ovunque si vada.

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