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Terrazzo

Agnelli in saldo, in vendita le case di Torino (ma anche di Roma)

Michele Masneri

La settecentesca villa Frescot è in vendita, così come l'attico romano con vista Quirinale. Per la storica residenza di Torino la richiesta è di dieci milioni di euro. Anche nelle migliori famiglie è tempo di snellimenti 

E’ l’ora dei saldi. Grandi dinastie rimaste orfane litigano certo sulle eredità ma soprattutto non sanno come disfarsi di certi lasciti ingombrantissimi. In prima fila ci sono naturalmente i Berlusconi; vi avevamo parlato qui della collezione di quadri di non eccelso valore che sono contenuti in un hangar brianzolo, frutto delle ordinazioni telefoniche notturne del Cav. La famiglia, complice anche un attacco di tarli, ha precisato che il rogo ancora non c’è stato, ma sta meditando se procedere al fuoco (l’ambaradan costa ottocentomila euro l’anno).

 

Ma non sono gli unici. Parallelamente alla decimazione di una nostra aristocrazia degli affari, cominciata vent’anni fa con la morte dell’Avvocato Agnelli, si va allo snellimento, al downsizing  anche  nelle migliori famiglie. Residenze e flotte e staff. I Del Vecchio (gli eredi del magnate già martinitt della Luxottica) stanno litigando sugli assetti aziendali, ma soprattutto stan cercando di vendere lo yacht “Moneikos”, da 62 metri ancorato a Montecarlo, con prezzo ribassato da 38 a 28 milioni di euro. Il problema è che di manutenzione pare costi 3 milioni di euro l’anno. E così ad Arcore, dove Pier Silvio e Marina sono alle prese con una feroce spending review, perché questi genitori ingombranti avevano vite da titani oggi impensabili. A partire dalle case: a Milano è stata venduta quella di Patrizia Reggiani vedova di Maurizio Gucci, per 9,5 milioni di euro è passato di mano il castelletto gotico in via  Andreani.


Ma alla fine come in una Götterdämmerung immobiliare  è arrivato sul mercato anche l’impensabile: la villa Frescot sacra agli italiani con l’orologio sul polsino. Lì, problema opposto che ad Arcore: quadri non da  televendita, ma anzi maestri del colore,  che però non si ritrovano. Ma a parte la questione artistica, al Foglio non solo confermano che la villa sia in vendita, come era stato avanzato da Report, ma anche il prezzo, dieci milioni di euro la richiesta. La villa settecentesca sulla collina di Torino, in Strada San Vito, località Revigliasco, era stata comprata a fine anni Sessanta dall’Avvocato, perché iniziava il periodo “caldo” del terrorismo e dei rapimenti ed era meglio andarsene da Corso Matteotti.

 

Ristrutturata dall’architetto sartoriale Renzo Mongiardino, con Marella che per il restauro filologico batteva musei e case dei dintorni e faceva rifare le tappezzerie ai suoi artigiani di fiducia svizzeri. E poi giardino di alberi da frutto e piante aromatiche col solito Russell Page. Dopo la morte dell’Avvocato la villa era andata in eredità come molti beni immobili alla figlia Margherita con nuda proprietà a Marella (che le pagava un affitto). Alla scomparsa della nonna, John Elkann che ama quei luoghi l’ha presa in affitto lui, ma poi a un certo punto ha chiesto alla madre di poterla acquistare, ricevendo un sonoro diniego. Allora il boss di Stellantis se n’è andato e si è comprato un terreno più sopra e si è costruito la casa, mentre il vecchio maniero sta lì abbandonato.

 

Come quell’altro, Villar Perosa, il castelletto dello Juvarra comprato dagli Agnelli nel 1853 nel paese dove la stirpe si tramandò poi praticamente il comando in regime feudale (il Senatore Agnelli fu sindaco e podestà per 50 anni, l’Avvocato è stato sindaco per 35) e dove c’è la cappella di famiglia. Anche lì, licenziati i custodi, tutto sbarrato. Tutto di Margherita. Ma è in vendita (sempre suo) anche l’attico romano, quello di fronte al Quirinale con tutte le leggende e le storie. La casa più alta di Roma (più del Quirinale), in ascensore ci potevi incontrare Fidel Castro o i politici romani che l’Avvocato bullizzava con ricette strampalate (i famosi coglioni di toro). Sta nel palazzo Carandini-Albertini, di massimo chic antifascista: la famiglia degli editori del Corriere, mista alla stirpe di archeologi e civil servant (Nicolò Carandini fu il primo ambasciatore italiano a Londra nel Dopoguerra) era così così invisa a Mussolini che – narra la leggenda – per impallargli la vista il Duce dette incarico ad Armando Brasini, re del barocchetto romano, di alzare nel ‘29 un’incongrua e inutile torre “Inail” sulla salita di via IV Novembre.

 

Nell’appartamento avvocatesco, disegnato da Ward Bennett,  soffitti di otto metri e total-travertino. Si  era studiato un sistema di terrazzi estraibili, ma poi si rinunciò. Adesso chissà che ne sarà. E ci si chiede, al di là delle beghe, sui troppi o troppo pochi quadri, chi si comprerà mai questi asset identitari? Basteranno gli americani neo innamorati dell’Italia e gli italiani di ritorno con le fortune beneficiate dagli sconti fiscali e scocciati  dalle Brexit? O si potrebbe creare magari una specie di “Fai” del capitalismo italiano con case aperte e luoghi del cuore tra Torino e Arcore, per ricordare i begli anni del riflusso (e anche per una storia del gusto italiano, vabbè). 

  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).