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terrazzo

La casa dei Ferragnez sembra una sala d'attesa

Giulio Silvano

È impossibile non essere coinvolti dai discorsi sulla power couple italiana: è pressoché ovunque, in ogni casa. E, viceversa, anche noi siamo stati a casa loro, quando Fedez ha riempito il suo profilo Instagram di storie sul nuovo appartamento a Milano

Anche per chi non ha alcun interesse per la power couple italiana, se ne ritrova dei pezzi, tra i discorsi al bar e tra i reel di Instagram, vittima di un discourse e di un algoritmo che ti dice: non puoi fuggire dal nazional-popolare. Trash non è più trash, come il midcult non è più midcult, tutto è livellato, gli snob arrancano perché non sanno dove posare gli occhi. E così spiamo dentro casa, che è quello che vogliono i proprietari, e le case interessano sempre perché sono la sintesi tra architettura, design e mercato (e che mercato!) che è il Dna di Milano e l’aspirazione del piccolo borghese. Di chi sono le case vuote? Si chiedeva il nume tutelare di questa pagina, Ettore Sottsass. “Un signore, un protetto dalla storia e dalla società è portato a pensare che le case vuote e quelle molto vuote siano le case dei poveri, di quelli che non hanno, ma si sbaglia, non è così”. Forse un po’ datato ormai il testo, ma solo perché Sottsass non ha fatto in tempo a vedere gli influencer che trasformano la propria casa in un palcoscenico per le dirette e in un magazzino per i prodotti regalati dai brand. Ci fanno vedere il vuoto, ci nascondono i magazzini con i pacchi e le letterine che implorano una menzione in una story. Di chi sono gli armadi vuoti? ci si dovrebbe chiedere oggi.

Non certo quello della Blonde Salad, come si faceva chiamare negli anni Bocconi “la” Ferragni (si usa “la” non per patriarcato, ma per differenziarla dall’esercito di madri e sorelle che si sono prese la loro fetta di attenzione social).

Arrivati nella nuova casa, si sono spostati da City Life a City Life, che è un po’ l’Eur meneghino, il marito si è messo a fare dei reel per far vedere la casa, dei piccoli tour, che non si capisce se in fondo è solo tenera amarezza per non aver avuto potere decisionale nel decor, o semplice presa in giro. Il giullare può sfottere il re, finché il re ha la corona. Fedez, (o Federico, come lo chiama Fazio) calcola quanti passi – a piedi nudi – ci vogliono per attraversare tutta la nuova cabina-armadio della moglie, grande come un bilocale. Poi, fa vedere la stanza degli ospiti (“non ho più amici, quindi ci staranno quelli di mia moglie”) e poi la “sua” stanza, quei metri quadri che gli sono stati concessi nel nuovo castello. Man cave, la chiamano gli americani, così il maschio ci può fumare i sigari, giocare a poker e alla Play e metterci tutti quei ninnoli pop che alla moglie non piacciono. Una concessione del matriarcato, “nascondi i tuoi giocattoli”. Prigioniero del gusto altrui, della texture, del bianco avorio delle pareti e del bianco panna di un divano svizzero, delle poltroncine Pierre Frey che infatti, come dice il sito che le vende, sono perfette per “spazi contract e lounge”. C’è qualcosa di estremamente protestante, da sobborgo americano, dove anche lo specchio Ultrafragola (di Sottsass) e i faretti fanno subito showroom. Non è nemmeno più gusto da nouveau riche, ma corporate-retail. Ci sono i colori calmi da sala d’attesa, dove i commessi ti fanno vedere i campionari di stoffa e ti offrono un bicchiere di bollicine in pendant col tappeto. Ci sono le proporzioni e le prospettive di una pubblicità di mobili da rivista patinata. La casa non è più una tana, una capanna dove ripararsi, ma finisce per assomigliare sempre di più a una reclame, allo shopping.

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