Napoli - foto via Getty Images

Terrazzo

Il brand non bagna Napoli

Giulio Silvano

A Napoli verrà installata una scritta oversize per i turisti, simile a quella rimossa ad Amsterdam, segno dell'avanzata del turismo di massa. Ma per bilanciare le cose, la città punta a mostre culturali come "Il resto di niente"

Una scritta oversize, per le foto da social, come quella famosa di Amsterdam, verrà piazzata di fronte agli ormeggi dove arrivano i crocieristi mordi e fuggi, accaldati, attirati dalla classifica della CNN che piazza Napoli prima tra le città “per foodies”. Dietro le letterone foto da cartolina, di palme, Vesuvio e babà. In Olanda la scritta l’hanno rimossa, perché faceva troppo McTourism ormai, ma Napoli accoglie il city branding come fossimo nel 1999. Rione Sanità nuova NoLo. Il modello Milano avanza. A breve sfogliatella week. E così tra i casottini con le granite al gusto Kinder Bueno e le code chilometriche per le pizzerie virali, e Poppella che apre un nuovo store gigante stile Serravalle Scrivia, l’overtourism avanza come uno spettro che si aggira da un po’ per l’Europa, distruggendo i centri storici e i menu e ikeizzando i piani nobili.
 

Ansia per la disneyficazione della città? Chiediamo a Eva Fabbris, direttrice del Madre, il gioiello cool della Campania museale. Fabbris cita Settis e parla del numero incredibile di addii al nubilato alcolici. “Ma – aggiunge –  c’è anche un turismo coltissimo, i musei sono pieni, facciamo numeri mirabolanti. Bisogna conoscere e cavalcare il cambiamento senza subirlo. Il Madre in questo può essere usato come osservatorio”.
 

E infatti dopo i restauri apre la mostra "Il resto di niente", a cura della direttrice, insieme a Giovanna Manzotti. I soldi sono di Gucci. Ma non c’è, almeno non ancora, quella fashionizzazione del museo come sta accadendo al nord, con D&G che si prende Palazzo Reale, con Swaroski elevato a manufatto artistico – e non semplice soprammobile da nonna imborghesita – in cambio di qualche assegno per restaurare stanze del Piermarini o del Vanvitelli. L’idea della mostra napoletana è del direttore creativo della maison di Pinault, ma almeno hanno evitato di mettere il loghetto con le G intrecciate sullo zerbino d’ingresso. A Milano ci sarebbero già le tote bag capsule collection Sara Persico x Gucci. Mostra pulita e senza sbrodolamenti, “un po’ benjaminiana”, dice la direttrice, ruota intorno alle visioni e ai disegni architettonici sci-fi di Aldo Loris Rossi, che progettò posti assurdi come la casa del portuale, famosa poi per Gomorra, la serie. Brutalismo mediterraneo, utopia sessantottina che diventa casa dei malavitosi savianeschi, o sfondo per i video di Liberato.
 

A bilanciare lo studio sulla città, opere di Nanda Vigo “cosmogoniche”, video installazioni “cartoonish”, un misto tra giovanissimi radicati sul territorio e glorie da permanente. Mostra intellettuale che funziona, che cerca di leggere la città, tra i gonfiabili bianchi di Mazzucchelli e le finestre sulle viuzze coi panni stesi. “Prima Napoli per molti era un passaggio per la costiera e le isole, ora è una meta”, dice al Foglio la direttrice. “Il concetto di Napoli Reinassance è un po’ trito. È una città che da sempre seduce”. E lei non ha paura dei brand? “Con Gucci abbiamo parlato molto dei contenuti, ma siamo state scientificamente autonome. Penso che la curatela sia un ambito dialogico. E poi il pubblico ha bisogno di supporto e se il supporto viene a partire dai contenuti e rispetta i metodi, non ci vedo niente di male. Potrebbero esserci nuvole di interferenze politiche, qual è più rischiosa, l’interferenza del pubblico o del privato? Spero di non dovermene preoccupare mai. Ma un bilanciamento potrebbe preservare l’uno dall’altro”.

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