Foto Ansa

Terrazzo

La trappola turistica che l'Europa (e l'Italia) non vedono

Michele Masneri

Il G7 è stato un fantastico spot per l’Italia. Ma attenzione, il turismo è anche la via che porta al declino dell’Europa, scrive il Financial times

"C’erano i panzerotti, c’erano gli artigiani, c’erano le signore che facevano le orecchiette a mano, c’erano le luminarie, c’era la Puglia”, ha detto Giorgia Meloni chiudendo il G7 più turistico che il G7 abbia conosciuto nella sua storia. Dal punto di vista della promozione del territorio, è stato semplicemente perfetto. Non mancava davvero nulla, e non si vuole qui fare ironia. C’era la 500 vintage (remake di Garage Italia dunque di Lapo Elkann, forse segno distensivo nella guerra tra governo e Stellantis); c’era Bocelli che cantava (Bocelli uguale musica italiana per un americano); c’era Bottura (Bottura uguale a cucina italiana per un americano, essendo Bottura un brand messo a punto soprattutto dalla di lui moglie americana). C’era Borgo Egnazia, infine, al di là delle polemiche sul vero/finto del compound edificato nel 2010 ma antichissimo nell’aspetto (provate a proporre la disamina  a un americano, non capirà, essendo questa cosa del “nuovo” sinonimo di  "finto" molto italiana, come direbbe Stanis La Rochelle di “Boris”). C’era infine pure il Papa, evitando agli americani in visita tra “The Pantheon”, “The Fettuccine Alfredo”, “The gelato”, di doversi spingere fino in Vaticano in visita. Insomma, per una volta, Italia all you can eat, open davvero to meraviglia. 


Ha sbagliato qualcosa Meloni? No, non ha sbagliato niente nel suo G7 all inclusive. E chi se ne importa delle dichiarazioni, aborto e diritti Lgbt: ma pensiamo veramente che al resto del mondo importi qualcosa di quale sia la posizione italiana su questi temi? L’Italia deve fornire buon cibo, buone location, “blue skies” e mari cristallini, e basta. L’americano mica viene qui per trovare diritti civili. Anzi, un po’ di cat calling gli farà così anni Cinquanta, magari alla turista sovrappeso del Wisconsin (a New York, e nel primo mondo, quando je ricapita?). 


E Meloni ne è consapevole. Il G7 turistico non a caso tenuto in un villaggio (seppur di fascia alta) rappresenta bene quella che qualche giorno fa sul Financial Times in una pungente critica il giornalista Janan Ganesh ha chiamato “Europe’s real tourist trap”, la vera trappola turistica europea. L’Europa non conta niente, ha scritto Ganesh, ma tutti fanno i carini con lei perché prima o poi ci andranno in vacanza. Il ventunesimo sarà il primo secolo in cui l’Europa non toccherà palla (sì, anche il ventesimo è stato quello americano, ma geniali europei come John Maynard Keynes l’hanno forgiato).  Ma ora “l’Europa manca di grandi aziende tecnologiche, ha una produzione industriale ridotta su scala mondiale, e nessuna speranza di contrastare America e Cina”. Però poi d’estate ci si va tutti in ferie. Magari in Italia. Intanto il turismo continua a crescere. Secondo il Ft, nel 2019, prima del Covid, rappresentava il 12 per cento del pil in Spagna, l’8 in Portogallo e il 7 in Grecia. In Italia gli ultimi dati lo danno al 9,5 per cento e uno studio di AssoTurismo prevede “un’estate di significativa ripresa, con un totale previsto di 216 milioni di presenze tra giugno e agosto 2024 con un incremento dell’1,5 per cento rispetto allo stesso periodo dell’anno precedente”. Ancora, secondo l’Enit sono circa 1,6 milioni i passeggeri aeroportuali attesi in Italia per l’estate con la componente estera prevalente (82,7 per cento) e gli Stati Uniti come primo mercato straniero di provenienza (18,3 per cento).  

 

Tutto bene dunque? No, per niente. Al di fuori dell’Europa, nessun paese fa questi numeri, non arrivando neanche al 3 per cento (con l’eccezione della Nuova Zelanda). Il turismo infatti può diventare una “tourist trap” che non vuol dire quei localacci col buttadentro e la pizza cartonata che i locali sanno evitare, no, è una trappola non per i turisti ma per il paese turistizzato. E non, ancora una volta, per via delle masse immani che pure rendono le città insostenibili (e che fanno correre ai ripari con inutili ticket o limitazioni: se prima li attiri con la meraviglia, poi come fai a cacciarli?). No, il male del turismo non è ambientale bensì mentale. Crea un forte disincentivo a modernizzarsi, premia la conservazione, scrive il Ft. Perché mai, diciamo noi, un paese dovrebbe sforzarsi di cambiare se poi quello che bramano gli stranieri evoluti è la trattoria dove si mangia con lo strimpellatore e il fiasco (magari al metanolo, e senza scontrino fiscale?).

La trappola del folklore la vediamo benissimo a Roma e Venezia, dove il pizzettaro al trancio guadagna venti volte Cracco. E anche governi seri e dunque poco  pittoreschi rischierebbero di guastare il quadro rimasto intatto da Goethe in poi. “A lungo ci si è chiesto come siano così difficili le riforme nei paesi dell’Europa mediterranea”, scrive Ganesh. “Si è data la colpa all’etica collettivista del Cattolicesimo – ma allora la cattolicissima ed efficiente Baviera?  O al ruolo centrale del welfare state pubblico (ma allora la modernissima Scandinavia?). Nessuna teoria sta in piedi. 

 

Il fatto è che l’Europa del Sud non conta nulla ma è così bella da vedere. Se vuoi fare una campagna pubblicitaria bella la fai a Capri, mica ad Atlanta (basta vedere lo spottone-sfilata di Jacquemus alla villa Malaparte dei giorni scorsi). L’Europa è una bella signora che monetizza sulla sua bellezza e fa benissimo, senza accorgersi che il mondo attorno sta cambiando, e lei non vi ha alcun ruolo, conclude il Ft. E intanto, giù panzerotti, orecchiette, luminarie, e "O sole mio...".

Di più su questi argomenti:
  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).