Terrazzo
Citofonare Cavalli: in mostra al Macro le fotografie dell'appartamento della "poeta"
Mattone e poesia. “Il sospetto del paradiso” è una ricognizione in oltre 200 fotografie della casa romana della compianta Patrizia Cavalli. Ed è un mondo (anche di amici e cucina)
La passione per le case si sa che batte perfino quella del sesso (i vari siti di annunci del mattone sono infatti molto più visitati dei vari YouPorn), e una sottocategoria che piace assai è quella delle case abbandonate da un momento all’altro, quelle che rimangono improvvisamente private dei loro abitanti e come cristallizzate in una bolla spaziotemporale; ci sono meme e account Instagram appositi, in versione con fantasmi e senza. Se poi la casa è d’artista, ancora meglio. Se poi a immortalare queste case non è l’occasionale creator ma un fotografo appassionato, benissimo!
Ecco allora al museo Macro di Roma “Il sospetto del paradiso”, una ricognizione in oltre 200 fotografie della casa romana della compianta Patrizia Cavalli. Una sala del museo è completamente ricoperta dalle foto realizzate da Lorenzo Castore nell’appartamento della poetessa (anzi poeta come amava lei definirsi) mancata due anni fa. “Siamo in via del Biscione” direbbe l’immobiliarista del caso, vicino a Campo de’ Fiori, dove Cavalli ha vissuto per quasi 50 anni. Le fotografie, racconta Castore al Foglio, sono state realizzate rigorosamente in pellicola, in bianco e nero e a colori, e sono state scattate nell’arco di una settimana, due mesi dopo la morte “della” Cavalli, e poco prima che la casa venisse smembrata e venduta. La “dimora”, direbbe sempre l’immobiliarista, non era solo il rifugio di una scrittrice ma anche l’epicentro di una ricca vita sociale, e oggi forse all’insaputa dei nuovi proprietari sarà infestata alla maniera del film di Antonio Pietrangeli del 1961 “Fantasmi a Roma”, dove appunto un gruppo di spettri cerca di evitare che il palazzo in cui abitano venga demolito per farne un supermercato.
Anche qui le presenze fluttuano, ma nelle foto. Da cui si intravedono amiche della scrittrice come Iaia Forte o la tavola costantemente apparecchiata per i celebri pranzi. “Mi chiamò la scrittrice Francesca Marciano, ‘devi assolutamente fotografare la casa prima che vada venduta’, allora mi misi d’accordo con l’erede Emanuele Dattilo per riuscire a fare le foto prima che arrivassero i nuovi acquirenti (Cavalli aveva infatti venduta la nuda proprietà)”, dice Castore. “Sapendo che sono uno specialista di case che stanno per essere abbandonate, andai a Roma, faceva caldissimo poiché eravamo in agosto, e per una settimana tutte le mattine scattai con un 20 millimetri, poi sempre più vicino, fino a un macro obiettivo, nei cassetti”. Così la casa è completamente schedata, dalle foto d’insieme ai più piccoli dettagli, con le librerie di legno chiaro, i pavimenti di cementine romane rosse e nere, le ceramiche di Giuseppe Ducrot, le mattonelle antiche della cucina professionale d’acciaio inox (arancio fiammeggiante) a cui era particolarmente affezionata. E ancora il divano col copridivano Lisa Corti, “e il famoso bagno in cima a una scala, l’unico bagno in un appartamento da 220 metri quadri, oggi ne avranno già realizzati tre”.
Quello che si può solo intuire dalle foto sono le famose cene di casa Cavalli. “Cene elaboratissime”, racconta proprio Francesca Marciano. “Patrizia aveva il gusto maschile di comprare enormi pezzi di carne, qasi dei quarti di animale, come la preda di un cacciatore”. “Erano serate, la parola giusta è dionisiache”, dice invece al Foglio Iaia Forte. “La scelta degli invitati non era mai casuale. Gli ospiti erano molto trasversali, andavano da Giorgio Agamben ad Alfonso Berardinelli a Carlo Cecchi, e poi Orsina Sforza, e intellettuali e aristocratici e sciamannati vari; Pizzi Cannella e Bernardo Bertolucci, e Isabella Ducrot, e americane miliardarie di passaggio”, continua l’attrice. “Le conversazioni erano fantastiche e ricercate, si parlava di cibo o poesia e soprattutto di amore, che era il suo tema. Lei cucinava piatti semplici ma buonissimi come pasta ai peperoni frullati. Si mangiava su tovaglie africane tra vini di grande qualità (anche questo abbastanza raro a Roma). I vini venivano fatti assaggiare e annusare a noi ospiti in una specie di ‘blind test’ per vedere che profumi riconoscevamo, spingendoci a immaginare le origini più remote e poetiche. Per Natale poi c’erano delle installazioni, veri e propri trionfi barocchi: torroni che faceva venire da chissà dove, presepi di zucchero. E a volte c’era pure l’oppio, frutto di attenta ricerca anche questo; arrivavano i fiori da una sua amica che raccoglieva il papavero, e si fumava su cartine d’argento nel salone”, dice ancora l’attrice.
“Alla fine”, conclude Francesca Marciano, “Patrizia detestava quando le cene erano finite e si cominciava a sparecchiare: il cibo doveva rimanere a tavola, anche se mezzo consumato e sfatto, come una composizione a sé stante”. In mostra al Macro ci sono anche i fogli di lavoro, su cui si trovano annotazioni, disegni, numeri di telefono, appunti, compreso quello da cui nascerà “Vita meravigliosa”, uno dei componimenti celebri. 105 ritagli di carta con liste della spesa e pensieri della “poeta”. E un video di Gianni Barcelloni dalla serie “Il navigatore. Ritratti di scrittori”, in cui Patrizia Cavalli legge le sue poesie attraversando la propria casa, e insieme al regista riflette sulla vita, la noia, la morte, la felicità e l’infelicità. E naturalmente, l’amore.