Quarta parete
I cigni di Capote non erano minimalisti
La serie “Feud. Capote vs The Swans” su Disney+ è un tripudio di opulenza. Dimore rivelatrici, quelle dei cigni di Capote, che tradiscono vizi, abitudini e idiosincrasie.
Come un libro si giudica (anche, a opinabile parere) dalla copertina, così una serie si valuta anche dagli opening credits – volgarmente detti: la sigla. Non fa eccezione “Feud. Capote vs The Swans” su Disney+ che adotta fin dalle prime immagini uno stile grafico e insieme narrativo, ricercato per sottrazione. La serie si dipana poi rimanendo più fedele al primo aspetto (la ricercatezza) e meno al secondo (la sottrazione). In ogni caso, come illustri predecessori seriali insegnano, la sigla di una serie, il primo impatto che si ha con essa ne definisce anche la caratura estetica, quello che ci si dovrà aspettare dal punto di vista della qualità generale sotto il profilo visivo. Raramente, se non mai, a una serie con una sigla estremamente sofisticata segue un racconto non così connotato visivamente (e viceversa).
In “Capote vs The Swans” ovviamente l’argomento e gli ambienti trattati favoriscono questa attenzione. L’alta società americana delle donne ricche – e meglio ancora con entrambi i piedi nello show business – non lesina in gioielli vistosi, abiti con fantasie carioca (pois e fogliame vario spopolano), cappelli con un tripudio di piume e occhiali da gatto. Ciò che però dà un perimetro ancora più chiaro dell’opulenza, nelle sue varie declinazioni dallo chic al kitsch, è come sempre il mattone. Dimore rivelatrici, quelle dei cigni di Capote, che tradiscono vizi, abitudini e idiosincrasie.
Tutto affogato in un oceano di carte da parati (che ben si prestano a ricoprire muri dai soffitti rigorosamente altissimi). Salotti coperti da moquette chiara (che fa subito stuolo di collaboratori domestici per manutenerla), colori decisi alle pareti (vinaccia, pavone e similia) che si intervallano a cornicioni lavorati, di bianco dipinti. Lampade e lampadari di ogni foggia, meglio e comunque di cristallo, camini in marmo di Carrara (con attizzatoi dorati, tocco notevole), piante quanto basta e ritratti appesi alle pareti. Un capitolo a parte riguarda divani e poltrone. Spesso in velluto, dei colori più vari, può accadere di vederli ricoperti da rivestimenti in cellophane, ossessione di immortalità degli oggetti che furono (e che per fortuna non accennano a tornare). L’ossessione per i racemi torna invece copiosa nei tendaggi, sempre molto importanti, delle camere da letto che ospitano letti a baldacchino o con testate enormi, doppie poltrone (lo spazio non manca mai), telefoni color panna e nessuna traccia di libri.
Come insegnano recenti programmi tv di meritato successo, camera padronale chiama bagno in suite. Qui le carte da parati tornano prepotenti ma di diversa foggia rispetto al resto della casa, per marcare una discontinuità e una minor invadenza. Doppi lavabi, meglio se con rubinetteria dorata, piani in marmo con venature in vista, lampade dalle luci più fioche e ampi appoggi per profumi, trucchi e creme. Spesso, a scomparsa, fa capolino un frigobar dal contenuto più o meno alcolico. Uscendo all’esterno, la tanto attesa sottrazione. Edifici lineari e chiari, patii sobri e piscinetta rettangolare. Due sdraio a picco sotto il sole. Almeno quello, senza artifici.