TERRAZZO
L'arte sotto il vulcano
Il premio Stromboli tra musica e inquietanti eruzioni: un’ambiziosa iniziativa che tocca discipline diverse e alterna l’arte a parentesi di commedia sociale
Ogni angolo di tempo e spazio possiede una musica ideale, e la Stromboli caldissima e accecata di quasi metà luglio 2024 – nata sotto i pugni del vulcano che ha registrato la più massiccia “attività parossistica” degli ultimi anni – trova la sua musica nel capolavoro dei Talking Heads del 1980, “Remain in Light”, che ascolto senza sosta mentre muovo tra i vari impegni del premio Stromboli.
Si tratta di un’ambiziosa iniziativa che tocca discipline diverse, ma trova la propria elevazione nella parte artistica, curata dalla bravissima Lucrezia Longobardi, che ha messo insieme cinque nomi interessanti in azione nel cosmo italiano degli ultimi tempi – Yuri Ancarani, Benni Bosetto, Irene Fenara, Petrit Halilaj e Renato Leotta – e li ha sistemati nella chiesa ex-voto di San Bartolomeo, con ammirevole talento installativo, giocando di sponda fra interni ed esterni, dalle tinte pastello delle mura alle dense sfumature del mare. Il vincitore, scelto da giurati come Vicente Todoli, Laura Cherubini e Lorenzo Balbi, è Petrit Halilaj, nato in Kosovo ma cresciuto in Italia, capace di illuminare la mente di chi osserva le sue opere con idee, sentimenti ed emozioni.
Il capolavoro di Hallilaj è nella chiesa, con piccole sculture da cui spuntano esilissime zampette simili a quelle di certe creature di Bosch: i manufatti sono repliche quasi vive dei ritrovamenti archeologici a Runik, sua luogo natale, depredato durante la guerra in ex Jugoslavia. L’arte come sempre in queste occasioni si alterna a parentesi di commedia sociale: un ospite che dopo aver sentito l’esplosione del vulcano – invero intensissima e viscerale – si è rifugiato sulla nave notturna verso Napoli; lacrime e ansietà di appassionati del contemporaneo si alternavano a squisite posture che stavano in piscina mentre la colonna di cenere invadeva lo spazio percepito del disco solare, portando tutti sotto una strana nuvola verticale, forse il più potente atto di land-art che abbia mai visto. D’altronde come una delle ottime organizzatrici del premio puntualizza sempre, “il vulcano fa il vulcano”, riuscendo a rendermi simpatica anche una delle cose che detesto, la tautologia (Rimetto le cuffiette e sento il picco del disco, che, tanto per gradire, è “Houses in Motion”, case in movimento…). Mentre cammino sotto onde di calore lentissime e quasi ferme “Remain in Light” si conferma come lo specchio acustico di questo cupo idillio tellurico, con i suoi poliritmi africani, i cori intrecciate le chitarre grattate e i synth che ancora oggi suonano alieni come macchie solari. Torno alla mostra, e mi sorprende come una delle opere di Irene Fenara, nella quale usa immagini tratte da telecamere di sorveglianza con un effetto termografico, ricordi la copertina del disco, la prima mai realizzata con l’ausilio di computer graphic, che mette i volti del gruppo coperti da cibernetiche maschere rosse.
L’ultimo brano del disco, un po’ lugubre, si intitola “The Overload”, il sovraccarico, e non riesco a immaginare niente di più adatto per Stromboli e il suo surplus di energia che diventa cenere e ci spaventa da maestra.
Terrazzo