Terrazzo
Il cielo su Bilbao, fra curve metalliche e immense spirali
La retrospettiva su Yoshimoto Nara ripercorre i suoi 40 anni di carriera, fra le linee sinuose e decostruttiviste del Guggenheim, museo simbolo della città spagnola
Bastano una ventina di minuti per ritrovarsi dall’aeroporto Sondika, progettato da Santiago Calatrava, sul ponte di La Salve che si apre su Bilbao, abbracciando e sovrastando il Museo Guggenheim, simbolo della città. Fu Frank Gehry a progettarlo e a volerlo in quella parte settentrionale dopo aver osservato il panorama del monte Artxanda. Quell’avveniristica costruzione è lì dal 1997 con una struttura esterna scolpita e pareti a dir poco particolari, perché cambiano colore nelle diverse ore del giorno. Nell’insieme, a seconda del punto di osservazione e della propria immaginazione, può assomigliare a un fiore, a una nave o a un pesce senza pinne. È in pietra calcarea, vetro e titanio e non in acciaio inossidabile, perché – come ci ha spiegato l’archistar, oggi ultra novantenne, durante la festa per il venticinquennale – “l’acciaio non somiglia al cielo di Bilbao”. Avvicinandovi all’edificio in stile decostruttivista, noterete che una parte di esso è sormontata da un ponte e che all’interno non esiste una sola superficie completamente piana. Il progetto di Gehry, sicuramente audace per l’epoca, non fu affatto una bizzarra astrazione, ma un’idea ben precisa che tenne conto del contesto storico e geografico della città. Fondamentali sono le finestre la cui forma è totalmente razionale, in contrapposizione all’aspetto esterno delle facciate, inserite in una serie di blocchi rettangolari che contrastano con la parte del museo, quella più famosa, fatta di curve metalliche e di spirali immense.
Il gigantesco Puppy di Jeff Koons all’esterno, accoglie i visitatori con i suoi quasi tredici metri di altezza, riempiti da piante e fiori, e fa un certo effetto pensare che un tempo, lì, al suo posto, nel quartiere Indautxu, c’erano centinaia di container arrugginiti. Dentro il museo c’è un bookshop degno di lode, ma soprattutto opere della collezione permanente come il labirinto in ferro di Richard Serra (The Matter of time), le grandi e iconiche tele di Rothko e Basquiat, il paesaggio marino di Gerhard Richter e nove colonne a luci LED su cui vengono proiettate frasi e frammenti di testo che sembrano voler raggiungere il cielo, opera di Jenny Holzer. Sonnenschiff, la scultura di Anselm Kiefer, raffigura i devastanti effetti dei bombardamenti aerei della Seconda Guerra Mondiale sulla campagna tedesca. Un invito a non dimenticare, che è poi quello che ci ribadisce anche l’artista giapponese Yoshimoto Nara. Classe 1959, nato a Hirosaki, nella prefettura rurale Aomori a Tokyo, è protagonista della retrospettiva che gli dedica il Guggenheim di Bilbao (a cura di Lucía Agirre, fino al 3 novembre) con cui vengono ripercorsi i suoi 40 anni di carriera. Quei bambini da lui ritratti con gli occhi molto grandi (impossibile non pensare a Margareth D.H.Keane), sono il suo alter ego, una maniera per far rivivere ricordi, esperienze ed emozioni iniziate nella sua stanzetta che lì è riprodotta in formato naturale (My Drawing Room 2008), ma soprattutto il modo per affrontare riflessioni filosofiche e altri argomenti attuali (con Stop the bomb e No War invita alla pace) usando un linguaggio semplice, diretto e assolutamente condivisibile.