Terrazzo

Cosa fare di quel che resta del real estate nazista: da sogno a incubo per Berlino

Giulio Silvano

Le proprietà legate al regime nazista creano problemi al governo tedesco per la gestione e il rischio di diventare luoghi di pellegrinaggio neonazisti. Alcuni edifici vengono riutilizzati per scopi pubblici, mentre si cerca di preservare la memoria storica

L’architettura era essenziale per Hitler, tanto da portarsi in giro un Albert Speer – e farlo pure ministro – l’architettone che doveva creare la nuova Berlino, capitale del Reich millenario. Per gli altri quadri del partito era soprattutto importante il real estate, da riempire con quadri rubati alle famiglie ebree europee e ospitare beerfest privati con le bionde bavaresi. E le case che non sono state bombardate dagli alleati continuano a creare problemi al governo tedesco. La villa del ministro della Propaganda Joseph Goebbels, costruita appena prima della guerra in un bosco a un’ora da Berlino, sulle sponde di un bel laghetto blu, non la vuole nessuno. È di proprietà dello stato berlinese che spende quasi 300 mila euro all’anno per mantenerla in piedi, e un senatore ha fatto un appello in Parlamento: che qualcuno se la prenda, gratis, e ci faccia qualcosa, o noi la buttiamo giù.
 

Un dermatologo vorrebbe forse aprirci una clinica – ma chi si farebbe uno scrub nella stanza dove si pianificava l’Olocausto? La paura è che questi diventino luoghi di pellegrinaggio per i fan, o che finiscano in mano a privati che simpatizzino coi gruppi neo-nazi. Il movimento di estrema destra Reichsbürger si è detto interessato a gestirla, ma è proprio quello che il governo tedesco vuole evitare, che si creino delle Nazi-Disneyland dove vendono le tazze con la faccia di Himmler e Göring. Un rabbino ha proposto di trasformarla in un centro contro l’odio e la discriminazione. Per un po’ con la Ddr era stato usato come campo di educazione per i giovani comunisti, poi abbandonato anche da loro. La casa natia di Hitler, in Austria, dove ha vissuto  solo per tre anni la vogliono invece trasformare in una stazione di polizia e sarebbero già al lavoro gli architetti dello studio Marte per un mega restyling. La casa, vuota da anni, è stata comprata dal ministro dell’Interno per evitare, anche qui, che saltasse fuori qualche celebrazione nostalgica. Altre ex proprietà hitleriane sono diventate alberghi o ristoranti (chissà se vegetariani, o appositamente hamburgerie e bisteccherie, a sfregio).
 

Non certo pieno di storia privata come il buen ritiro di Goebbels o la casa del Führer, ma altri rimasugli dello stesso periodo, che hanno resistito alle demolizioni della denazificazione, stanno iniziando una nuova vita. Dopotutto, perché sprecare così  tanti metri quadri di real estate in città? Il mega bunker di Amburgo, un po’ un deposito dark di Zio Paperone, con un investimento di cento milioni di euro è diventato il place to be sul fiume Elba. Costruito nel ’42 con il lavoro forzato ora ospita ristoranti bar, un albergo dell’Hard Rock Cafè, e una mostra permanente per parlare del passato nazi dell’edificio. Da lontano, con tutte le terrazze stracolme di piante, sembra un bosco verticale, una high line antiatomica. C’è anche un frutteto di meli sul tetto, accanto a un prato, per accogliere insetti e uccelli e far sparire il cemento, vero greenwashing architettonico, senza scordarsi che i nazisti sono stati i primi veri ecologisti animalisti della storia contemporanea.

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