Terrazzo
Il Novecento di Fosco Mariani: poco appariscente e molto godibile
A. Museo delle Culture di Lugano è in mostra "L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva" che raccoglie oltre duecento scatti dell'antropologo tra il 1928 e il 1971
Ci sono voluti oltre due anni di preparazione e di ricerche d’archivio per dare forma a una delle più sorprendenti mostre fotografiche degli ultimi anni. Un lavoro che restituisce appieno il ruolo e la centralità di Fosco Maraini che fu antropologo e quindi sociologo, alpinista, orientalista, scrittore, poeta e fotografo. E proprio la fotografia è probabilmente l’ambito attraverso il quale è possibile più facilmente accedere alla complessità intellettuale di una figura tanto eclettica quanto incredibilmente capace d’innovare e stupire in ogni suo campo d’applicazione. Come tutte le mostre che hanno alle spalle un lungo lavoro di ricerca “L’immagine dell’empresente. Fosco Maraini. Una retrospettiva” al Museo delle Culture di Lugano – nella bellissima sede vista lago di Villa Malpensata – risulta essere poco appariscente e molto godibile. Non è importante sapere molto di Fosco Maraini, della sua storia e dei suoi studi perché le fotografie, oltre duecento, realizzate tra il 1928 e il 1971 con un corpus centrale rilevante tra gli anni Trenta e Cinquanta, s’impongono con naturalezza adagiandosi sugli occhi del visitatore, impressionandolo con la loro carica emotiva e al tempo stesso incredibilmente distaccata.
Come se Maraini non dimenticasse mai nei suoi reportage la funzione della fotografia, il carattere documentario e la necessità del racconto che precede ogni tentazione e scorciatoia estetica. Una tensione che però mai declina alla bellezza, ma anzi la ritrova in un equilibrio estremo di luci: nei ritratti, come negli scatti di paesaggio. Curata da Francesco Paolo Campione con la collaborazione del Gabinetto Vieusseux di Firenze, “L’immagine dell’empresente” offre un’organizzazione perfetta dei vari reportage che comprendono anche alcuni scatti inediti, eppure risulta irresistibile saltare da una sala all’altra. Incrociare il viso bellissimo eppure ritratto in maniera totalmente inedita di Anna Magnani con i visi delle pescatrici di Hèkura, forse il più famoso tra i reportage di Fosco Maraini. Vagare tra il Tibet e le acciaierie Falck di Sesto San Giovanni, lasciarsi andare al flusso interiore senza porsi troppe domande, ma offrendosi all’intensità della fotografia. Seguire un’impronta molto personale per quanto ingenua e poco sensata.
La qualità dell’allestimento offre infatti quella sensazione tipica della neutralità svizzera che permette di divagare e di disegnare passaggi oltre i percorsi prefissati. Un’organizzazione che non s’impone, ma che facilita il movimento dello sguardo permettendo così di poter intercettare la grandezza di un uomo capace di dare al sé uno spazio che andava dall’Oriente all’Occidente. Un girovagare preciso, una fluidità più contemporanea che moderna, ma che dalla modernità bussa oggi offrendo una libertà priva di moralismi e dettami, di ideologie e assurde compressioni. L’empresente, parola di Fosco Maraini, coglie l’attimo in una forma di condivisione, di presenza comune. L’obiettivo non afferra l’attimo dei soggetti in foto, ma prima di ogni altra cosa coglie noi spettatori, coinvolgendoci e offrendoci un tempo inedito per esistere.