Al Waleed bin Talal in una foto d'archivio: oggi ha 69 anni (Getty)

Terrazzo

Torna Al Waleed, il principe ossessionato dall'essere "poco ricco"

Michele Masneri

La fissazione per la classifica di Forbes, gli “amici” Musk e Trump: ora il principe annuncia il suo grattacielo, il più alto del mondo

Addavenì baffone. Il baffone intanto ora è tornato. Il principe Al Waleed, variazione sul tema miliardari arabi non minimalisti, che negli anni duemila si era imposto come il Warer Buffett d’Arabia troneggiando (è il caso di dirlo, sul suo 747 privato ha un tronetto tutto d’oro) sulla finanza internazionale compresa una partecipazione in Mediaset, è tornato.

 

Tornato puntando sul sicuro e cioè come tutti sul mattone. Al Waleed infatti ha annunciato su X  che stanno ricominciando i lavori per costruire quello che sarà il grattacielo più alto del mondo. Altro che Porta Nuova, la Jeddah Tower sarà alta oltre 1.000 metri, superando il Burj Khalifa di Dubai che attualmente detiene il titolo. L’obiettivo è di completare la torre entro il 2028. Lo stop ai lavori non fu dovuto a qualche Tar saudita ma a una più avventurosa questione: nel 2017 infatti Al Waleed   era stato arrestato nell'ambito di una vasta campagna anti-corruzione lanciata dal principe ereditario Bin Salman insieme ad altre 200 persone, tra cui membri della famiglia reale, alti funzionari e uomini d'affari. Tutti rinchiusi come in un film presso il Ritz-Carlton di Riyadh, trasformato per l’occasione in prigione temporanea.

 

Al Waleed è stato detenuto per più di due mesi e la sua liberazione è avvenuta dopo aver raggiunto un "accordo segreto" con il governo saudita. Anche se i dettagli dell'accordo non sono mai stati rivelati pubblicamente, si ritiene che il principe abbia dovuto cedere una parte significativa della sua fortuna in cambio della libertà. Il governo saudita ha dichiarato di aver recuperato circa 100 miliardi di dollari dagli accordi finanziari con le persone coinvolte.

 

Ma adesso il rilancio anche fisico col progetto del grattacielone, a maggior gloria del regno e pure del principe. La torre, ordinata da Kingdom Holding, il gruppo di Al Waleed,  viene costruita nientemeno che dal Saudi Bin Laden Group (sì proprio quella famigliola), ma non c’è solo quella: secondo il Finacial Times stanno sorgendo due hotel di lusso da parte di Hyatt nella futuristica città di Neom e un Ritz-Carlton sul Mar Rosso. Nonostante i timori per il deficit di bilancio, questi progetti sono strategici per attirare investitori e turisti globali, contribuendo a ridurre la dipendenza del paese dagli idrocarburi​

 

Ma il torrione è anche il terzo atto per Al Waleed, in cerca di nuovo di un ruolo nuovamente prestigioso sugli scenari internazionali. “Siamo tornati”, ha twittato il principe mercoledì scorso su X, di cui è uno dei principali azionisti fin dall’inizio. Ultimamente sostiene molto anche Musk. Nei mesi scorsi il principe ha detto di aver investito nella startup  xAI  di Musk sull’intelligenza artificiale. E non ha battuto ciglio neanche nel crollo del valore del suo investimento in X (circa 2 miliardi di dollari), crollato con la gestione Musk, mentre in passato era stato molto meno accondiscendente. Nel 2022 quando Musk aveva lanciato l’Opa sull’ancora Twitter il principe aveva detto che la sua offerta non era assolutamente adeguata. All’epoca i due fecero scintille, Musk rispose qualcosa tipo: ah ok, allora dimmi, quanta parte di Twitter è di proprietà del Regno, direttamente e indirettamente? Qual è la posizione del Regno sulla libertà di parola dei giornalisti?

 

Poi appararono tutto è dimenticato e oggi i due sono amiconi. L’oracolo di Ryad, come l’originale Buffett, ha accumulato negli anni partecipazioni in aziendone celebri, come Citigroup, Coca-Cola, News Corp., Disney, Apple, Lyft. E poi gli alberghi: Four Season, Fairmont, Movenpick sono alcune delle catene in cui ha investimenti. E ancora i “trophy asset” del caso, come l’hotel Savoy di Londra e il George V di Parigi. In Italia ebbe una quota del 2,7 per cento in Mediaset ai tempi della quotazione in Borsa.

 

Però a differenza di Buffett si fa arrestare e litiga. Nel 2017 Donald Trump, in carica, twittò di aver “grande fiducia in Re Salman e in Bin Salman, che sanno bene quello che fanno a gente che ha sfruttato il suo paese per anni”. Riferimento scontato, il dissing tra Al Waleed e Trump dura da molti anni, dal 2015 quando Trump prima di essere eletto disse che serviva un “muslim ban” contro gli immigrati musulmani in America e Al Waleed per tutta risposta l’aveva definito una “disgrazia”. Ma prima ancora Al Waleed aveva fatto affari con Trump, rilevandone una barca e soprattutto l’hotel Plaza di New York, quando Trump era in difficoltà finanziaria. In realtà i due hanno molto in comune, dall’essere nati ricchi, e soprattutto dal voler sembrare più ricchi di quello che sono.   

 

Cinque anni fa uno spassoso articolo di Kerry A. Dolan su Forbes raccontava l’ossessione del saudita di figurare nella classifica dei più abbienti del mondo, pur non rientrandoci di diritto. Quando la rivista decise che la sua ricchezza vera era di almeno 7 miliardi di dollari inferiore a quella dichiarata i giornalisti si videro tempestare di chiamate. I reporter, raccontava Dolan, ricevono generalmente oltre a una continua massa di comunicati stampa con cui il principe avverte di aver incontrato tal dei tali, mettiamo Bill Gates o l’ex presidente Bush o anche figure magari meno importanti come un ambasciatore africano in Arabia saudita, anche un grosso cofano di pelle con il logo della sua Kingdom Holding, al cui interno c’è uno scrigno più piccolo e così via tipo matrioska, finché il destinatario trova un pacco non di lingotti o di gioielli: invece, copertine dei più pregiati magazine internazionali su cui campeggia lui, er principe. Solo che sono pezzotte: il suo staff invece di inviare ritagli di stampa autentici realizza infatti copertine inventate, che  sono state poi legate su carta patinata di alta qualità insieme a veri articoli che menzionano il complessato saudita. Il principe-tipografo dai caratteristici baffoni, i maglioni a collo alto e gli occhiali fumé senza montatura, che lo facevano somigliare a un personaggio di Romanzo criminale, alla fine fece pure causa a Forbes, perché nonostante tutti gli sforzi, i giornalisti l’avevano ritratto come “poco ricco”. 

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).