Enrico Baj, Parata a sei, 1964 olio e collage su stoffa, 190 x 480 x 3 cm (in due parti, ciascuna 190 x 240 x 3 cm) Archivio Enrico Baj, Vergiate (VA)

Terrazzo

Anarchico e surreale Enrico Baj

Giulio Silvano 

A Milano la mostra “Baj chez Baj”, a cura di Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj per celebrare il centenario dell’artista milanese

Il 2024 è il centenario del manifesto surrealista di André Breton, il movimento che più ha creato figli e figliastri in tutto il mondo dell’arte, facendo diventare “surrealista” uno dei termini più utilizzati da titolisti e sceneggiatori – “surreale ma bello”, dice il libraio di Notting Hill a Julia Roberts al primo incontro. Ed è solo un caso – ma esistono davvero i casi, nell’arte? – che sia anche il centenario di un artista milanese, Enrico Baj, nato il 31 ottobre del 1924. Liceo Berchet e poi Medicina in Statale, Baj dal surrealismo ha preso la pratica più divertente e terrena: il collage.

Oggi viene celebrato al Palazzo Reale in una mostra di Electa, “Baj chez Baj”,  a cura di Chiara Gatti e Roberta Cerini Baj, vedova dell’artista. Si erano conosciuti negli anni ’60 a Milano, lei ventenne lui quarantenne, le telefonava da Parigi dove prendeva casa in affitto da Max Ernst. Ciniglie, cordoni, zuffoli, passamani, cordini, pizzi, vetri, pomelli, plastiche, rubinetti, ingranaggi, nastri, l’opera di Baj è tutto un arcimboldesco mescolare materiali per creare volti e figure, ma anche mobili: i suoi generali, le sue donne, i suoi uomini fatti di meccano. In “Vieni qui, biondina”, un mostro abbraccia una donna nuda. In apertura, prima di entrare nella sala delle Cariatidi, la sua “Apocalisse”, con i suoi diavolacci, “Cacacazzo” con i suoi intestini di fuori, e la sirena picassiana dall’Isola di Patmos e il “Ladro di gemelli” e il barbuto “Linguadicazzo”. Tutto molto Ubu, tutto molto Alfred Jarry, vero maestro di Baj, grottesco e giocoso.

“Apocalisse” è un’opera gigante che come i magneti sul frigo può esser ricomposta a piacimento. E poi nella sala tutti gli occhi sulla lavoro più politico di tutte, “I funerali dell’anarchico Pinelli”, dove, ci dice la vedova, “i personaggi piangenti, disperati, che soffrono, sono molto diversi dai soliti personaggi ironici di Baj. Il bambino è vestito come nostro figlio Pietro, con la sua bandierina rossa”. Dall’altra parte i poliziotti, invece disumani, minions degli anni di piombo, e in mezzo la sagoma cadente dell’anarchico ferroviere, precipitato dalla finestra della questura. “Mentre ci lavorava nel suo studio – che condivideva con Ugo Nespolo – la gente veniva a trovarlo e lui invitava tutti ad aggiungere un pezzo di stoffa o di qualcosa ai pannelli”. Un Guernica tridimensionale e polimaterico della prima repubblica lungo 12 metri, dove – dice Umberto Eco – “la lezione picassiana e il gusto patafisico per la denuncia della bestialità, finalmente si fondono”. Realizzato nel ’72, doveva esser mostrato al pubblico proprio in quella sala dove è adesso, ma la mattina del giorno in cui doveva aprire la mostra il commissario Luigi Calabresi venne assassinato. Mostra sospesa, mai più aperta. Dopo quarant’anni l’opera torna lì. “I funerali dell’anarchico Pinelli”, ha annunciato l’assessore Tommaso Sacchi, troverà dopo la mostra casa permanente nei palazzi comunali.

Di più su questi argomenti: