Scatto della mostra, dal sito ufficiale del Flanders Architecture Institute

Terrazzo

Il Belgio sogna la palazzina romana

Manuel Orazi

Fino a febbraio, Anversa ospiterà una mostra in cui i muri della villa del Vlaams ne raccontano l'evoluzione strutturale: passando da residenza dei Medici a centro culturale internazionale, includendo proposte concrete a favore dell'intensificazione urbana, contro la mancanza di alloggi e il caro affitti

Ad Anversa, principale città delle Fiandre, oltre ai Rubens nella cattedrale, c’è il Flanders Architecture Institute (Vlaams) che è una piccola macrostruttura integrata con il centro culturale che ospita anche una sala esposizioni, un teatro con centinaia di posti a sedere, un giardino, un bar e uffici. Oltre che nel cinema, nel mercato dell’arte contemporanea, nel design, il Belgio in questi anni si è guadagnato una posizione di tutto rispetto nell’architettura, vista la presenza di studi fra i più noti e attivi in Europa, da Office Kersten Geers David Van Severen a 51N4E di Freek Persyn, da XDGA Xaveer De Geyter al  paesaggista Bas Smets e a molti altri ancora, molti dei quali insegnano nelle migliori università del pianeta tanto che MIT Press quest’anno ha dedicato alla nouvelle vague belga un volume, “Something Completely Different. Architecture in Belgium”, di Christophe Van Gerrewey. Il nuovo direttore del Vlaams, Dennis Pohl, tedesco e poliglotta, come prima iniziativa ha varato una mostra dello studio Dogma che ha sede a Bruxelles fin dalla sua fondazione nel 2002 da parte di due italiani: il romano Pier Vittorio Aureli, che insegna all’EPFL di Losanna, e il suo socio veneziano Martino Tattara alla TU di Darmstadt. L’alta velocità ferroviaria consente in poche ore di spostarsi, insegnando in Germania, Olanda o Svizzera, e rincasando ogni sera in una delle tante case basse col tetto a punta - “Ugly Belgian Houses” è una pagina di culto su Instagram.

Il titolo della mostra, aperta fino a febbraio, è “La villa urbana, dalla speculazione alla cooperazione”, ed è bipartito: sui muri perimetrali quaranta pannelli a colori raccontano l’evoluzione tipologica della villa, da residenza suburbana per i Medici intorno a Firenze fino all’avvicinamento alle metropoli europee e al suo ingresso nella modernità in vari modi, con esempi che vanno da Gottfried Semper al Bauhaus fino al Queens e alla palazzina romana tanto deprecata dalla storiografia quanto amata dai suoi abitanti. Nei tavoli paralleli centrali invece sono mostrati dei progetti di Dogma per Anversa, proposte concrete per l’intensificazione urbana contro la mancanza di alloggi e il caro affitti. L’inserimento di alcune ville urbane aiuterebbe in questo senso, vista anche la bassa densità delle periferie cittadine, composte in gran parte da abitazioni monofamiliari che favoriscono lo “sprawl”: intensificare senza raggiungere la grandezza delle torri speculative. Il termine cooperative ha assunto una valenza negativa negli anni per via degli eccessi fiscali di quelle rosse e speculativi di quelle bianche come nel caso delle palazzine romane: i soci si mettevano insieme solo per costruire un edificio di quattro piani più l’attico con l’immancabile terrazza romana, divenuta un topos anche al cinema. Alla fine la cooperativa si scioglieva. Oggi invece si potrebbe mettere insieme i servizi come i bagni o le cucine (e le bollette), magari all’ultimo piano, consentendo di liberare molto spazio per le abitazioni di queste ville urbane semi-periferiche e multifamiliari. Aureli e Tattara rendono così omaggio a un’intuizione del 1977 di Oswald Mathias Ungers per Berlino Ovest. 
 

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