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Terrazzo

Il Foro italico da Mussolini a Ballando con le stelle

Manuel Orazi

Come si è passati dalla condanna storiografica del dopoguerra a una agiografia acritica negli ultimi anni?

Una delle zone più belle di Roma è quella a nord del Tevere, circondata com’è da una collina miracolosamente rimasta verde, Monte Mario, anche grazie alla progettazione del Foro Mussolini, iniziata nel 1927, che l’ha salvata dalla speculazione edilizia. Nel dopoguerra i lavori al Foro ormai Italico non erano ancora finiti e vanno avanti fino alle Olimpiadi del 1960 per cui venne realizzato qui il Villaggio olimpico disegnato insieme da Adalberto Libera e Luigi Moretti e oggi uno dei quartieri meglio riusciti all’ombra e ai piedi dei Parioli. L’arrivo dei grandi progetti legati alla cultura, Auditorium e Maxxi, ha arricchito l’area di presenze artistiche che però, a ben vedere, erano presenti sin dall’inizio. Artista di formazione infatti era Enrico Del Debbio, autore del piano del Foro al quale lavorerà per oltre trent’anni. Essendo nato a Carrara, Del Debbio aveva un’ovvia predilezione per il materiale che è sinonimo della sua città d’origine e lo Stadio dei marmi fra le tante statue di sportivi ne presenta alcune di artisti carraresi come Carlo De Veroli e Aldo Buttini, guarda caso.

 

Luca Zevi ha curato un volume che ne studia l’evoluzione, “Foro italico. Da ieri a domani” (LetteraVentidue) dove sottolinea come si sia passati dalla condanna storiografica del dopoguerra, specie a causa di suo padre Bruno, a una agiografia acritica negli ultimi anni. Il libro offre perciò letture aggiornate di diverso tipo, accompagnate dalle smaglianti fotografie di Paolo Rosselli del tutto antiretoriche di questi spazi, usatissimi non solo da sportivi professionisti, ma anche da dilettanti e pedoni. In realtà il complesso, di cui fanno parte oggi anche lo Stadio Olimpico e i campi da tennis degli Internazionali d’Italia, non era per nulla omogeneo fin dall’inizio. Il Foro fu voluto infatti da Renato Ricci, sottosegretario all’Educazione nazionale e fondatore dell’Opera nazionale Balilla, nato a Carrara e con incarichi di responsabilità nella gestione delle cave il che spiega sia la chiamata di Del Debbio sia il noto obelisco con la scritta “dux” all’ingresso. Ben presto però entrò in scena anche Moretti che aveva un’idea molto diversa di classicità e romanità: se Del Debbio, come ha scritto Giorgio Ciucci, collocava i sui timpani spezzati, nicchie e conchiglie sull’intonaco rosso pompeiano del palazzo H (dal 1951 sede del Coni) come “astratti frammenti senza tempo” guardando ai progetti di ricostruzione degli anni precedenti, viceversa Moretti nell’Accademia della scherma, nella palestra del Duce e nel piazzale del monolite, oggi piazza De Bosis, mostrava una consapevolezza totale dei progressi dell’architettura europea (da Mendelsohn a Mies van der Rohe) guardando più a Michelangelo e Borromini che al barocchetto degli anni precedenti – una fugace  tendenza degli anni Venti parallela a quella coeva del neoclassico milanese di Muzio e Ponti. Peter Eisenman (modernista) e Léon Krier (antimodernista) portavano i loro studenti di Yale il primo a visitare Moretti il secondo Del Debbio, in divergente accordo. Sorprendente è invece l’analisi di Emma Tagliacollo di quanto il Foro Italico ricorra nella letteratura da Moravia e Bassani fino a Marco Lodoli e Simonetta Agnello Hornby. E poi, non dimentichiamoci che oggi, dall’auditorium del Foro Italico va in onda il fondamentale “Ballando con le stelle”.