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Terrazzo

Ritorna il diario di viaggio di Sottsass, Pivano & co.  

Giulio Silvano

Alcuni scatti immortalano racchiusi in nuovo libro raccontano il grand tour negli Stati Uniti degli anni '60 da parte di architetti, scrittori e protagonisti della resistenza italiana. Un percorso intercontinentale per ammirare da vicino le nuove meraviglie della grande potenza americana 

Così come prima degli aeroplani i tedeschi e gli anglosassoni e i francesi se ne andavano in Italia ad ammirare piazza San Marco e l’arco di Costantino per fare uno schizzo su un album da disegno – “Solo a Roma è possibile prepararsi a comprendere Roma”, scriveva Goethe – nel dopoguerra gli italiani hanno voluto attraversare l’Atlantico per vedere in prima persona le nuove meraviglie della grande potenza americana. Era lì che l’architettura stava avendo un suo rinascimento novecentesco. Il primo a partire per l’American journey fu forse nel ’62 Sottsass – accompagnato da Fernanda Pivano – che per diversi mesi finì per una nefrite in una clinica a Palo Alto a spese di Olivetti. E poi altri seguirono.

Nel libro appena uscito per Humboldt Books, “Usa 1966”, si racconta proprio di uno di questi grand tour americani. L’architetta Luisa Castiglioni insieme al compagno Hans Deichmann, ex sabotatore del nazismo e spia per la resistenza italiana, partono per San Francisco nel 1966, portandosi dietro Enzo Muzii – futuro autore Adelphi e vincitore di un Orso d’argento a Berlino – e Umberto Riva, allievo di Scarpa. Doveva partire anche Ludovica Ripa di Meana, che si ritirò all’ultimo, chiamata da Zeffirelli per La bisbetica domata. I quattro si portano dietro, sulla costa del Pacifico, le loro Leica e le loro Rolleiflex e se le scambiano nel corso del viaggio, rendendo difficile l’attribuzione delle singole foto presenti nel volume.

Alcuni usciranno su Zodiac, la rivista di fotografia Olivetti curata da Maria Bottero, altre invece resteranno inedite fino a oggi. Non tanto l’esaltazione davanti alle grandi misure della frontiera, quanto un occhio da studiosi di fronte all’unicità stilistica statunitense, e qualche scatto sentito da vero turista. “Non vi è ricerca formale nella sua fotografia”, scrive Maddalena Scarzella nel libro, parlando della nonna Castiglioni, “ma una meticolosa attenzione al dettaglio, ai volumi, agli spazi, al linguaggio architettonico dei suoi maestri, da cui è profondamente ispirata”. La California, Phoenix, Atlanta, Dallas, Chicago, Philadelphia, Boston e New York.

E quindi il grande faro Frank Lloyd Wright, con il suo Marin County Civic Center, o gli interni pulitissimi da ufficio pubblico del Wisconsin, o le varie case di LA, come la cinematograficissima Ennis House – da Blade Runner a South Park – esempio massimo di Revival Maya, covo perfetto per i cattivoni asiatici anni 80 e per le atmosfere dark- weird-Hollywood di Lynch. E poi il calcestruzzo armato e il travertino monumentali di Louis Kahn, da La Jolla alla Pennsylvania, e ancora la Plaza Tower di Spangenberg e quei cilindri brutalisti di Goldberg, e poi Le Corbusier, Mies van der Rohe – che i quattro incontrano di persona – centri commerciali, grattacieli di Chicago e catapecchie lungo le strade polverose tra cactus e diner, prima che esistesse California Bakery in viale Concordia, tutto ancora così folkloristico, nuovo e non ancora macchiato dal postmodernismo che aspettava dietro l’angolo, travestito da radicalismo.