Colori e dolori degli anni Novanta. Un libro-Vhs

Giacomo Giossi

Il collettivo Wudz Factory celebra il decennio ribelle e fragile con "1997", un viaggio in cassetta tra dolore e cultura pop. Un libro-game di nostalgia analogica e sogni infranti, tra Kurt Cobain e Milano 2

Se gli anni Ottanta succhiarono via la creatività dagli anni Settanta per separarla dal piombo e renderla luccicante, allegra e finalmente modaiola, gli anni Novanta hanno preso il narcisismo degli anni da bere per portarli in un tempo ricchissimo eppure sull’orlo del fallimento e oltre tutto auto riferito quanto depresso. Ma sono proprio gli anni Novanta a rappresentare la gioventù in tutta la sua estesissima definizione che va dai quattordici anni fino ai quaranta molto ben inoltrati. Decennio non solo giovane, ma perennemente adolescente: dalle camicie a scacchi rosse fino alle T-Shirt extra large. Se gli anni Sessanta furono l’albore di un mercato giovanile fino ad allora totalmente ignorato e ancora ingenuo, gli anni Novanta ne furono il trionfo e la sua stessa distorsione. Ed è un piacere agrodolce quello che accompagna il lettore (ultra quarantenne) nell’attraversare il bellissimo libro prodotto dal collettivo Wudz Factory (collettivo con la C, siamo negli anni Venti che citano gli anni Novanta) dal titolo esemplificativo, “1997” (Wudz editore).

  

Il libro si presenta in un formato VHS (cofanetto compreso che riprende i colori della mai dimenticata Chroma) che rappresenta a oggi forse il reperto più significativo di quel tempo che visse fortemente su nastro tutta la propria disperazione analogica prima che il tempo rotolasse velocissimo su supporti digitali. La nostalgia non è nemmeno da nominare, perché è la nostalgia la protagonista perenne di un tempo che fu grunge e ricco di merendine, di tv e di un dolore che portò via come un soffio Kurt Cobain e Ayrton Senna, David Foster Wallace e Brandon Lee. Nessuno può dirsi escluso, perché chiunque seppe nella propria collettiva autoreferenzialità far esplodere quelle camerette agghindate come tante piccole Milano 2 che riempirono le palazzine della provincia italiana di un benessere piccolo, ma – almeno così si credeva – stabile. Un dolore che ebbe da subito un bisogno infinito di consolazione condita da zuccheri, addensanti e un entusiasmo tutto di superficie in cui i soldi – sdoganati dagli Ottanta – non rappresentavano più un punto di arrivo, ma la misura del mondo: It is the economy, stupid! disse James Carville, lo stratega elettorale di Bill Clinton che aprì a una gioia tanto gridata quanto improbabile.

   

1997 è un libro game (espressione che odora fortissimo di anni Novanta), ovvero una collezione di spunti e giochi, ricordi e appunti a cavallo tra una tesi di laurea triennale in materie umanistiche e il diario di un post adolescente. Resta impossibile non ritrovare se stessi anche perché nonostante l’età non si è cambiati mai: non gridavamo cose orrende, violentissime, nei nostri cortei e ora non siamo imbruttiti. E se non siamo degli splendidi quarantenni è solo perché non abbiamo mai pensato di essere degli splendidi ventenni. Portiamo con dignità pinguedine e zampe di gallina con il peso di una tristezza che alcuni chiamano esistenza e che altri invece risolvono attraverso periodiche pulizie del colon. Non siamo altro che tante Laura Palmer in cerca di giustizia.