Mostra “Gabriele Basilico. Roma” – Allestimento © Eleonora Cerri Pecorella via Mic

Terrazzo

Il Basilico dei cantieri d'epoca. La Roma “diversa” nelle fotografie del maestro milanese

Giulio Silvano

Viaggio nella mostra "Gabriele Basilico, Roma" a Palazzo Altemps per riscoprire una città che non c'è più, ormai diventata il paradiso degli umaréll

Tra le fotografie della mostra “Gabriele Basilico, Roma” aperta da poco a Palazzo Altemps, ce n’è una che ha un particolare magnetismo. E’ la foto del 1989 della Colonna Traiana, monumento coclide eretto per celebrare la conquista della Dacia da parte delle truppe imperiali, coperta, da impalcature per la sua ristrutturazione. Si potrebbe forse pensare che il fotografo milanese fosse talmente bravo da rendere affascinanti anche le impalcature, o che le impalcature di allora fossero, sebbene meno sicure, più belle di quelle di oggi, senza bendaggi lacerati e banner pubblicitari di Immobiliare.it, ma non è solo questo. E’ l’unicità. 

 

Fra tutta la Roma che Basilico fotografa negli ultimi decenni del ’900 l’impalcatura è un’eccezione. Se oggi Basilico, o un suo fantasma, si ritrovasse a scattare negli stessi luoghi, la rarità sarebbe invece vedere una piazza sgombra, una facciata libera, una fontana disadorna. Oggi, in un modo che appare ancora più massiccio dell’era d’oro delle fasciature da bonus grillino, la capitale è di nuovo tutto un cantierone per il “Giubileo della speranza”. I silos verdi (fino a poche settimane fa), astronave polverosa di piazza Venezia per la nuova stazione metro, riescono a rendere sobrio e minuto l’altare della patria. Il Palazzaccio tutto fasciato sembra l’ultima opera di un Christo svogliato. Fontana di Trevi è sostituita da una piscina gonfiabile dove lanciare i centesimi. Piazza dei Cinquecento sembra il set di un disaster movie. In quello che diventa il sottopasso per San Pietro si continuano a trovare reperti archeologici, Roma si riconferma matriosca infinita della storia. I turisti si lamentano e fanno foto in punta di piedi oltre le reti e i pannelli in compensato. “Cosa siamo venuti a fare?”, si chiedono, “volevamo vedere Roma, vediamo le betoniere”. Pedonalizzazioni e restauri.

     

In primavera il primo cittadino Gualtieri con l’elmetto andava a far vedere i lavori su TikTok, tra mucchi di calce, gilet catarifrangenti e bagni chimici, forse sperando di attrarre il voto dei pensionati appassionati. La città oggi è un paradiso degli umaréll. Possiamo godercela quindi un po’ più vuota guardando le foto di Basilico, che, come scrive il ministro della Cultura nella prefazione del catalogo, riesce a fissare “l’antico e il moderno che insieme alimentano l’unicità monumentale”. Nostalgia quindi di pulizia e vuotezza, grandiosità mista tra razionalismo e cesarismo, Ara Coeli e Adalberto Libera, la splendida Stazione Termini senza file rabbiose per i taxi, acquedotti da capriccio e parallelepipedi da pubblicità, sassi, erbacce e Renzo Piano, e poi il biondo Tevere da dove tutto nacque. E c’è pure la tangenziale sopraelevata della Prenestina che qui, in bianco e nero, appare romantica – precoce esaltazione del periferico Pigneto che qui sembra quasi bello.

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