Terrazzo

Vivere e morire di rigenerazione urbana

Giacomo Giossi

Ledo Prato rappresenta l’esatto punto di equilibrio tra la capacità di mediazione e la necessità di messa in pratica che ha contraddistinto il meglio della rigenerazione urbana di questi anni

La rigenerazione urbana come certi amori che non finiscono, fanno dei giri immensi e poi ritornano, e spesso sotto forma di asfalto colorato o di luxury hotel. Qualcosa ne sa Milano (la città che sale! Da Boccioni direttamente a Pisapia fino a Sala) e molto bene ne sa l’estesa provincia italiana che ha visto negli ultimi trent’anni mutare il proprio paradigma che un tempo vedeva le rotonde decorarsi con l’ennesimo monumento di bronzo e lamiera dedicato a qualche resistente che tutto avrebbe voluto meno che quella parodia metallica dell’eroismo, e che oggi vede le fabbriche abbandonate trasformarsi in “spazi”, là dove la parola “spazi” è facilmente sostituibile con incubatore e con giovani, ma anche con inclusione, genere e magari workshop.

 

Quello che resta sul campo dunque è un insieme di parole private del proprio significato e un fare trasformato in un ostentato quanto banale dire. Un gesto vacuo e al tempo stesso utile a ingannare il tempo. E se a poco sembrano essere state utili anche le critiche più spigolose contro questo o quel modello piovute da destra come da sinistra è anche perché l’insieme è sembrato più che altro un coro a voce unica interessato alla conservazione e con essa un’idea elitaria di cultura. Diviene dunque utile e interessante affrontare percorrere le parole di Ledo Prato che con “Cultura è cittadinanza” (Donzelli), in conversazione con Paolo Di Paolo, offre un’idea chiara e puntuale sul senso della rigenerazione urbana a partire da una pratica che lo vede protagonista da oltre trent’anni. Figlio di quell’insuperabile scuola di cultura civica che fu la sinistra cattolica, Ledo Prato rappresenta l’esatto punto di equilibrio tra la capacità di mediazione e la necessità di messa in pratica che ha contraddistinto il meglio della rigenerazione urbana di questi anni da sempre stretta tra le necessità di una comunità e il dialogo obbligato con istituzioni tanto reazionarie quanto arretrate.

 

Fondatore nel 1990 insieme a Ovidio Jacorossi e Giuseppe De Rita dell’associazione Mecenate 90, Prato ha dato corpo a progetti di rigenerazione sparsi lungo tutto l’Italia (in particolare al centro sud) che trovano poi il loro palcoscenico con il Festival della rigenerazione urbana, ma sopratutto ha dato forma a un osservatorio privilegiato in grado di sfidare la burocrazia italiana leggendone tra le pieghe legislative opportunità così come muri da abbattere con proposte e campagne pubbliche. “Cultura è cittadinanza” è un compendio di quello che è il lavoro culturale e dei suoi obblighi, della sua necessaria testardaggine oltre che di una buona dose d’ironia che non manca mai a Prato. La rigenerazione urbana vive là dove non si limita a una cosmesi stradale o a una vendita a un privato spacciata per compartecipazione, ma là dove la comunità attivandosi sa rigenerarsi a cominciare dalle domande da farsi a cui dovrebbero seguire azioni dotate di risorse e di visioni, e non come spesso accade vacui workshop giusto per prendere tempo. Perché così la rigenerazione urbana rischia – sempre Venditti docet – di essere solo una tortura da vivere.

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