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Quante Vite Giorgio Vasari! Una mostra e molti eventi lo ricordano ad Arezzo
Pittore ma anche architetto, decoratore, caricaturista e scenografo: la sua città natale racconta tutte le sfaccettature dell'artista a 450 anni dalla sua morte
Gli anniversari servono soprattutto a riaprire i depositi e i 450 anni dalla morte hanno promosso una mostra e altri eventi collaterali ad Arezzo, patria di Giorgio Vasari, pittore e architetto considerato il fondatore della storia dell’arte per “Le vite de’ più eccellenti architetti, pittori, et scultori italiani, da Cimabue insino a’ tempi nostri” (1550), naturalmente tutti maschi e quasi tutti toscani. La mostra principale, prorogata fino al 2 marzo, si svolge nel palazzo di piazza San Francesco, attiguo alla chiesa omonima con la Leggenda della Vera Croce di Piero della Francesca nell’abside affrescata: in mezzo un bar tutto nero stile Twiga, con statue dorate e Super tuscan. Sui due piani del museo sono esposti quadri in massima parte provenienti dagli Uffizi: temi sacri, ritratti e soprattutto allegorie. Durante il manierismo, la stagione che segue quella dei maestri chiamati solo per nome (Donatello, Piero, appunto, Leonardo, Raffaello, Michelangelo) gli artisti cercavano effetti diversi e strade meno battute come l’allegoria in particolare delle virtù, come la triade fede-speranza-carità colorate, guarda un po’, di bianco, rosso e verde e come il titolo del catalogo curato da Cristina Acidini, Vasari. Il teatro delle virtù (Mandragora).
Vasari pittore non era certo irresistibile, Adolfo Venturi giudicava migliore il Vasari decoratore, caricaturista e scenografo. Molte delle sue opere infatti erano anche sfrenate decorazioni interne come i riquadri del refettorio di Monteoliveto a Napoli o quelli di Palazzo Vecchio a Firenze. Il senese Cesare Brandi notava in proposito che “nel Vasari architetto non c’è la lutulenza formale che il pittore non riesce a contenere”, il suo michelangiolismo è spartano, l’uso rigoroso della pietra serena è quasi quattrocentesco come nella Badia delle Sante Flora e Lucilla. Peccato che l’architettura sia miseramente trattata dalla mostra, basti vedere le maestose logge di Piazza Grande e anche il raro modello conservato nella loggia del Vasari (da non confondere con l’altra dell’aretino Licio Gelli): solo un disegno degli Uffizi di suo nipote. Eppure il corridoio vasariano – appena tornato visitabile – tra gli Uffizi e Palazzo Pitti è un unicum, apparecchio urbanistico più che architettonico.
Ci si può consolare andando a vedere la casa di Vasari, poco distante, però prenotando (il pomeriggio è chiusa). In mostra anche i libri suoi o degli amici come il traduttore dell’Eneide Annibale Caro, e anche la chimera di Arezzo, scultura etrusca che tanto piacque a Cosimo I che la puliva personalmente. In onore del suo protettore nel gennaio 1563 Vasari fonda l’Accademia medicea del disegno – modello delle future Académie des Beaux Arts – e scrive subito una lettera al venerato maestro, il Buonarroti: tornate a Firenze, sarete la guida di tutti noi artisti e potremo fare grandi cose. Il maestro però morì pochi mesi dopo, tuttavia la lettera commuove ed è emblematica delle illusioni cortigiane.