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Terrazzo
Ora la moda (in crisi) si butta sugli scrittori: cosa potrà mai andare storto?
J.Crew questo mese ha lanciato un “salotto letterario” in collaborazione con il New Yorker, Tiffany ha fatto dei cartelloni con citazioni di scrittori e Saint Laurent una campagna a tema Proust.
Mentre il mondo casca a pezzi, mentre lesbiche naziste procedono al riarmo della Germania come in un film distopico di Leni Riefenstahl, il mondo della moda, che pure non se la passa tanto bene, ha pensato di puntare sulla letteratura. Cosa potrà mai andare storto? Si sa che i fatturati del settore crollano, gli stilisti vengono rimpiazzati più che gli impiegati pubblici americani col Doge e senza neanche dover fare scenate antisemite come un tempo, la Cina non tira più eccetera.
I brand allora, forse con rituale scaramantico, pensano bene di buttarsi sul settore più scalcagnato di tutti, la letteratura. Come ricorda il Wall Street Journal, J.Crew questo mese ha lanciato un “salotto letterario” in collaborazione con il New Yorker, Tiffany ha fatto dei cartelloni con citazioni di scrittori e Saint Laurent una campagna a tema Proust. Sono sei corti in cui c’è Cooper Koch, uno dei due sexy assassini di “Monsters”, che legge la Recherche, poi c’è la divina Chloë Sevigny, si capisce che Mangione non l’hanno preso solo in quanto “prisonnier”.
Insomma i libri sono diventati improvvisamente cool? E’ anche possibile che la moda, costretta com’è a fare ormai una collezione al giorno, stia raschiando il fondo del barile; mettiamo che dopo i tubi di scappamento, il Giappone, i puzzle, e il “floreale per la primavera” la Emily di turno in riunione abbia proposto “gli scrittori” e la Miranda Priestley di turno dell’editoria abbia detto vabbè proviamo con gli scrittori.
Prada che ci vede sempre più lontano degli altri ha commissionato invece un intero libro, “Ten protagonists” composto da 54 racconti della scrittrice dal nome scicchissimo di Ottessa Moshfegh (se si fosse chiamata Jessica Ceciozzi, dubitiamo che avrebbe avuto lo stesso incarico). Ma Prada già l’anno scorso aveva radunato scrittori e letterati in un book club dove gli editoriali milanesi stravolti avevano finalmente partecipato a un “reading” come dovrebbe essere, in un mondo giusto, con champagne e le famose mini-tartine al cetriolo della sciura Miuccia. Grande era stata la sensazione tra le polveri sottili. La domanda che girava vorticosa tra tutti gli abbonati a Mubi era: ma i vestiti, che Prada aveva dato alle scrittrici (mica le avrebbe invitate coi loro vestiti di tutti i giorni, che orrore), quelle se li potevano tenere? La risposta: no.
Naturalmente il pregiato libro Prada non sarà presentato negli squallidi reading che lo scrittore medio intraprende normalmente, tra Ben Cola e pizza fredda quando va bene su e giù per la provincia coi biglietti in super-super-super economy e il pubblico in tuta che sbadiglia. Bensì in eventi privatissimi tra New York, Tokyo, Milano, Parigi e Londra.
Certo per affacciarsi ai libri la moda dev’essere veramente disperata. Non che i due settori non si siano spesso incontrati. Proust, che chissà se avrebbe amato Chloë Sevigny, forse una Albertine un po’ cresciuta e perfetta più che come lettrice per fare una delle bambinone cicliste di Balbec, nella Recherche cita spesso brand dell’epoca come le stoffe di Fortuny, ma anche Cartier, per un nécessaire che però è ritenuto troppo caro.
Qualche anno fa ci fu pure la famosa campagna di Céline con Joan Didion, scrittrice che funzionava perché californiana, grande titolista (“L’anno del pensiero magico”), e di appartenenza a dei Guermantes losangelini… insomma di nuovo no Jessica Ceciozzi here. Ma già su Céline ci furono dei misunderstanding, perché il popolo della moda ignora lo scrittore nazi e quello della letteratura mai si potrebbe permettere i capetti del brand. Poi Joan Didion… Céline… qualcuno pensava a Céline Dion… Insomma, grossa confusione.
Anche la letteratura, che finalmente fiuta del denaro facile e cospicuo, ha sempre cercato la moda. Per restare in Italia, Arbasino a un certo punto cercò di farsi finanziare una edizione di Fratelli d’Italia da Armani (ma avrebbe dovuto provarci invece col conterraneo di Voghera, Valentino, che adesso ha ristrutturato tutto il teatro della loro città).
Poi ci sono le cartelle stampa. Nella vita di uno scrittore prima o poi capita il momento della cartella stampa: il tale brand ti chiede di scrivere dieci righe di puro nonsense per la campagna autunno/inverno, tu le fai, ti danno una cifra che vale l’anticipo di un libro, poi la riscrivono tutta, tu sei contento lo stesso, pagano subito, loro non si faranno mai più vivi, ti chiedi poi perché siano venuti da te ma forse la risposta è che è un mondo appunto in cui fanno tantissimo denaro e in qualche modo devono espiare. Ci sono cartellisti d’eccezione, come il filosofo Giorgio Agamben che firmava le cartelle stampa per la Gucci di Alessandro Michele, ma anche tanti meno (o più) fortunati in incognito.
Quando i due mondi si incontrano poi c’è sempre un bellissimo clash culturale. Il mondo editoriale refrattario alla comunicazione e al marketing, la moda che vive di quello (e un po’ più nel mondo reale). Uno iperefficiente e l’altro che sguazza sciattamente nel declino. Lo Scrittore al cospetto di Quello della moda è generalmente in imbarazzo, vestito male com’è, mentre Quello della moda ne è affascinato, ed è più tollerante, pensando “Siete artisti, non avete l’obbligo d’essere eleganti”, come il marchese rassicura Alberto Sordi all’entrata della cena dai nobili Rustichelli in “Una vita difficile”.
Riguardo al senso del business, ogni mio libro che esce, tendenzialmente vorrei che fosse d’estate, e ogni volta mi scontro con le librerie che “d’estate non facciamo presentazioni”, ma quest’anno mi sono imbattuto in qualcosa di meglio, nella libreria di nota località di vacanza che risponde sdegnata che a luglio e ad agosto “non si possono fare presentazioni perché facciamo sempre la manutenzione”, che spiega bene lo stato dell’industria editoriale italiana.
Mentre quelli della moda giustamente comprano libri solo d’estate, quando smettono di fatturare e possono rilassarsi addirittura leggendo, o più semplicemente piazzando un libro su Instagram, che sta benissimo infatti accanto a un piede, a un pareo, a un ombrellone coordinati. Non ci sono altri oggetti infatti così pratici: una statua uno non se la porta in valigia. Un telefono fa cafone. Invece il libro va su tutto. Anche sbiadito un po’ al sole, ancora meglio. Nella prima stagione di “White Lotus” i volumi esibiti dalle villeggianti erano divenuti tema di discussione (c’erano Nietzsche, Freud ed Elena Ferrante). Quest’ultima stagione invece è talmente noiosa che fa venire voglia di spegnere e perfino leggere un libro cartaceo.
Comunque il libro sta bene anche appoggiato a un trullo pugliese, alla finca delle Baleari, al dammuso eoliano. Manufatti antichi, come del resto il libro, e la professione letteraria è ormai talmente fuori moda da essere forse affascinante per i brand proprio per quello. Scrivere volumi e manufatti cartacei è talmente esotico da essere ormai equiparato a professioni tipo il liutaio, o l’allevatore di lama. Gli scrittori dovrebbero essere tanti Lucio Corsi, lo strambo e poetico “menestrello della Maremma”, oppure avere nomi come Ottessa Moshfegh o Alba de Céspedes, l’altra prescelta da Prada. Imma Tataranni non la vorrà nessuno? Neanche un brand della Valle d’Itria?
Ma forse siamo troppo pessimisti. Il Wall Street Journal assicura infatti che la “generazione Zeta” ha grande amore per i libri, così molte celebrità tipo Dua Lipa e Dakota Johnson hanno tutte dei book club. E di nuovo, il marchio Donna Karan per l’ultima campagna ha utilizzato la modella e attrice Kaia Gerber che ha il suo di book club, seguito da 78.000 follower. Che poi questi follower si convertano in lettori è una vecchia questione, come con gli influencer e le elezioni (Instagram pieno, librerie vuote).
Però in un altro film distopico ci sarebbe un finale amaro, tra Alberto Sordi e sfilate: “ricordati, Andrea, nessuno vò esse noi”, direbbe una Miranda dell’editoria, non in una Mercedes limousine ma in una Panda Euro zero a gpl, tornando da qualche fiera del libro a Roma e non dalla settimana della moda parigina, col baule pieno di volumi invenduti. E Andrea salterebbe giù, pronta non a tornare dal fidanzato, ma a inviare un curriculum a chiunque nella moda, anche a Laura Biagiotti o Elisabetta Franchi. E, finalmente, fatturare. Vabbè, te saluto.
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