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Terrazzo

Ecco la casina bianca, dove abitano i vicepresidenti americani

Michele Masneri

Ha ospitato tutti i vicepresidenti americani da cinquant’anni a questa parte ma è poco conosciuta come i suoi inquilini. Adesso tocca ai Vance

Non sapremo mai se il momento di “alta televisione” così subito etichettato da Donald Trump (cioè il primo scazzo che si ricordi in diretta tra un capo di governo di un paese in guerra alla Casa Bianca con i suoi ospiti) sia stato premeditato, né se il vicepresidente sia poi riuscito a sciare nonostante le proteste in Vermont, dove come una Rita De Crescenzo voleva solo rilassarsi sulla neve. Quello che è certo è che l’ex paesano dagli occhi bistrati, J. D. Vance, è potente, potentissimo. Noto per le posizioni altalenanti (Trump era il male assoluto fino a qualche anno fa, fino a cioè che Trump se lo filasse), la sua ascesa corrisponde anche a un costante progresso immobiliare.

Vance è nato e cresciuto in Ohio, in una città industriale nel cuore della Rust Belt americana, che a partire dal nome, Middletown, sembra studiata a tavolino per urlare “classe bianca impoverita”. La sua casa d’infanzia, una modesta abitazione di circa 185 metri quadrati con tre camere da letto e due bagni, rappresentava la tipica residenza della classe media dell’epoca. Costruita nel 1900, la casa è stata ristrutturata nel 2017, con un valore stimato attuale di circa 223.400 dollari (il bello dei siti di real estate americani è che ti dicono tutto, quanto è costata, quanto si è rivalutata, chi sono i proprietari ecc.). Questo è il set di “Hillbilly Elegy”, in italiano “Elegia americana”, il memoir poi film di successo coi proventi del quale abbandona la Silicon Valley nel frattempo conquistata e torna alle origini, in una storica residenza nel quartiere di East Walnut Hills a Cincinnati. La casa è un esempio di architettura gotica vittoriana, con una superficie di oltre 560 metri quadrati e cinque camere da letto. Situata su un terreno di circa un ettaro con vista sul fiume Ohio, la proprietà è stata acquistata per poco meno di 1,4 milioni di dollari. Aveva tuttavia un difetto, sorgere in un quartiere molto liberal, e infatti poco dopo la coppia – J. D. e la moglie avvocata di origine indiana Usha – se ne va.

Nel frattempo inizia l’avvicinamento alla politica nazionale, cui corrisponde un nuovo round immobiliare. Nel 2014, i Vance hanno acquistato una townhouse nel quartiere di Capitol Hill a Washington, per 590.000 dollari. La residenza di circa 155 metri quadrati, con tre camere da letto, è stata poi messa in affitto quando i due si sono ingranditi ancora. L’inquilina attuale, Ashley T., ha detto al Washington Post che i Vance sono “grandi padroni di casa”, specialmente lei. “Sei hai un problema, tipo l’antifurto o il tubo del gas, basta messaggiarla e Usha arriva”. Dei vicini dicono che lui invece non è simpatico e “non saluta mai”, vabbè.

Nel 2023, anticipando un ruolo più attivo nella politica nazionale, i Vance hanno acquistato una casa in stile coloniale nel quartiere di Del Ray ad Alexandria, Virginia, sempre nei dintorni della capitale, per circa 1,64 milioni di dollari. La scelta del quartiere è di nuovo bizzarra, essendo un ricettacolo di Prius e Tesla (ora prontamente rivendute) e giubbini eco sostenibili Patagonia, oltre che zoccolo duro di votanti per Kamala Harris e Biden. Ma di nuovo dopo l’elezione a vicepresidente nel 2024, la casa è stata messa in vendita il mese scorso, per un milione e sette.

La coppia vicepresidenziale si è spostata infatti nel parco dell’Osservatorio navale, all’indirizzo di 1 Observatory Circle, a nordovest della città. E’ una mini Casa Bianca, bianchissima anche questa, di 33 stanze, in un grande parco, a quattro km dalla Casa Bianca vera. Costruita nel 1893 come residenza del direttore dell’Osservatorio, solo dal 1975 è la residenza ufficiale dei vicepresidenti. La mini Casa Bianca in origine non era bianca, bensì di mattoni rossi, fino al 1960 quando venne dipinta di grigio scuro, per diventare bianca nel ’63 e oggi è ufficialmente crema chiaro. E’ poco conosciuta ma molto amata dagli inquilini, che ne apprezzano la privacy, il grande parco, la silenziosità. E’ uno dei pochi vantaggi di un ruolo abbastanza sconclusionato come quello del vicepresidente. E’ anche ugualmente indicativa del gusto che cambia, pensate, da Ford a Pence a Kamala a Vance passando per Bush padre. Tra le curiosità, oltre la torretta un po’ da castello Disney, e al grande portico, c’è un cimitero dei cani con le spoglie del collie di Walter Mondale, il primo vice inquilino, e di Dave, il labrador dei Cheney. C’è un nome in codice per ricevere Glovo e pizze a domicilio, “Joe Petro”, che si tramanda di vice in vice (quando hanno fame, non possono dire “sono il vicepresidente e mi è venuto un leggero languorino”, tipo Berlusconi quando ordinava i quadri alle televendite notturne).

Altre leggende della casa: i Bush ricevevano tantissimo (900 tra cene pranzi e feste in quattro anni) ma con alcol di scarsa qualità. Kamala ha rifatto la cucina e altri lavori per 3,8 milioni di dollari e i primi tempi stava in un’altra casa. Si è affidata a una tal architetta Sheila Bridges che ha puntato su “una palette neutra”, “un mix di antico e moderno” insomma le solite cose che dicono gli architetti, e su “piccoli artigiani”. Non si sa se J.D. e Usha metteranno mano agli arredi etnici con manufatti indiani voluti dalla conterranea Harris. Non sempre i gusti vicepresidenziali infatti si assomigliano. I Bush puntarono sui colorini tenui (azzurrino e giallino per le pareti), i Quayle ripristinarono il bianco totale degli interni. I Gore risistemarono i portici perché amavano stare all’aria aperta. I Cheney misero arte contemporanea.

I più punk furono comunque i Rockefeller. Tra gli arredi più bizzarri ed estemporanei ci fu infatti il famoso letto a tempio disegnato da Max Ernst nel 1974 per Nelson Rockefeller, della nota prosapia, che fu vicepresidente di Gerald Ford. Un lettone con basamento in legno e una specie di balconata di ottone a tempio greco che i Rockefeller commissionarono al surrealista e poi volevano assolutamente lasciare in eredità ai successori, che però non ne hanno mai voluto sapere; si narra che Barbara Bush, la “vecchia babbiona” secondo il soprannome di “Striscia la notizia”, sfinita dalle profferte, rispose alla signora Rockefeller: “potete venire a trovarci quando volete, ma non c’è bisogno che vi portiate il letto da casa”. Del famigerato lettone dei Rockefeller ne furono “tirati” poi 49 esemplari, uno dei quali finito all’asta da Christie’s per sedicimila sterline nel 2001. E’ chiaro che oggi un lettone di Putin sarebbe più gradito, vabbè.

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  • Michele Masneri
  • Michele Masneri (1974) è nato a Brescia e vive prevalentemente a Roma. Scrive di cultura, design e altro sul Foglio. I suoi ultimi libri sono “Steve Jobs non abita più qui”, una raccolta di reportage dalla Silicon Valley e dalla California nell’èra Trump (Adelphi, 2020) e il saggio-biografia “Stile Alberto”, attorno alla figura di Alberto Arbasino, per Quodlibet (2021).