
terrazzo
Marx nell'antropocene
E in laguna. Sinistra e ambiente, ma senza vernice arancio
Uno spettro si aggira per Venezia. Uno spettro verde e rosso. Sul Canal Grande si sono riuniti gli studiosi di ecomarxismo per il grande convegno internazionale “Marx nell’antropocene” – “mai vista una cosa di queste dimensioni”, commenta uno degli ospiti, arrivato da Los Angeles. Tutti accalcati nel palazzo nobiliare che fu dei Tron, ora dell’università Iuav, un po’ la sorellastra postmoderna di Ca’ Foscari. Necessario uno schermo al piano di sotto, per non far sedere troppa gente a terra sulla fredda pietra d’Istria sotto gli affreschi di Louis Dorigny. Filosofe femministe dell’East coast, sociologhe cilene, sustainability coordinator di Oxford, bestselleristi dell’Oregon, grecisti svizzeri e greci post-kantiani, ingegneri svizzeri, ex deputati di Rifondazione, urban planner californiane, economisti spagnoli ed hegeliani norvegesi. Accademici di tutto il mondo, unitevi! E c’è anche un po’ di resistenza al trumpismo – organizziamoci!, dice la filosofa Nancy Fraser con spirito un po’ 70s un po’ Occupy, ricordando come il Partito democratico non abbia permesso la vittoria di Bernie Sanders. E poi discorsi e paper sul comunismo solare, sull’agrobiologia antimperialista, sull’alienazione, il destino, su Sartre e sugli affitti di Milano. Obiettivo: come adattare il nostro filosofo di riferimento all’oggi. Dopotutto, come diceva il sindacalista ucciso dai rancheros Chico Mendes, “l’ambientalismo senza lotta di classe è giardinaggio”. “Il succo”, ci riassume uno degli organizzatori, il prof. Mario Farina, “è l’idea che l’ecologismo moralista e paternalista sia necessariamente fallimentare (povere piante, poveri panda!). Il tema ecologico deve fuoriuscire da una lettura sistemica dello scambio metabolico umanità/natura”. Senza i pianti e le retoriche e i lanci di pittura di Extinction rebellion quindi – piuttosto gilet e camicie di flanella e matite nel taschino, con quel giusto equilibrio di North Face e man bun ma senza il desiderio di coprire le pareti cinquecentesche di zuppa. Borracce di metallo, certo, ma senza plastic-shaming per chi beve una San Pellegrino della macchinetta. “Più che antropocene, dobbiamo parlare di capitalocene”, dice sul palco l’economista Joan Martinez Alier, campione da decenni della decrescita felice. E ancora “L’economia non è circolare, è entropica!”. Nelle sezioni pomeridiane si va a cercare la radice epicurea del tedesco – “dopotutto Marx era figlio dell’illuminismo”. Ma ci si chiede come si faccia a far sposare l’idea stalinista di fabbricone e lavoratori che diventano eroi, nata da Marx, con la svolta green. “La decrescita non è una posizione condivisa”, ci spiega Farina. “Il Marx prometeico e iper produttivista criticato da sinistra negli anni Settanta è un appiattimento sul marxismo sovietico. Oggi la questione climatica spinge a cercare cose diverse in Marx, che però c’erano già nei suoi testi”, perché in fondo “il marxismo contiene materiale che aiuta a affrontare le contraddizioni man mano che emergono. Ora sta emergendo questa”. Tra gli spritz della laguna appare un Marx messianico. Meno lattine di vernice e più libri, meno Greta Thunberg e più Rosa Luxemburg.