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Terrazzo

La mostra di Pietro Corraini alla Cartoleria e Tipografia Fratelli Bonvini

Giacomo Giossi

Nella residenza d’artista una mostra che esplora con disegni, sculture e dipinti quello spazio che vive tra la necessità e il superfluo, tra l’utile e il bello, tra l’imprevisto e il prevedibilissimo. Una visione inconscia resa su carta millimetrata

Tra la luminescente Fondazione Prada e il lugubre villaggio Olimpico che nulla sembra avere da invidiare a Togliattigrad ecco che Porta Romana a Milano sorprende – cosa che le capita sempre meno – con uno spazio accogliente e gentile nella misura, ma anche nel desiderio espresso. Si tratta della Cartoleria e Tipografia Fratelli Bonvini che ovviamente come succede nel capoluogo lombardo non è una tipografia e non è una cartoleria e non ci sono nemmeno più i fratelli. O meglio è sì una cartoleria e una tipografia, ma molto milanesamente non è solo questo, è anche uno spazio culturale, uno spazio espositivo, una residenza d’artista e in pratica un gioco bellissimo pensato e costruito sulla memoria di quello che furono i Bonvini da Roberto Di Puma e Maria Sebregondi, già tra i fautori della reinvenzione di Moleskine. In questi giorni gli spazi di Bonvini sono occupati da una mostra di Pietro Corraini che esplora con disegni, sculture e dipinti quello spazio che vive tra la necessità e il superfluo, tra l’utile e il bello, tra l’imprevisto e il prevedibilissimo. Ovvero, Tecnologia come Decorazione, questo il titolo della mostra che parrebbe un ossimoro, ma che in realtà nelle opere coloratissime di Corraini rivela significati impensabili in cui la seduzione diviene la linfa vitale di un discorso che si muove agilmente tra il pensiero e la pratica.

Grafico e designer Pietro Corraini viene da quella tradizione editoriale, la Corraini che da Munari a Mari ha offerto ai lettori italiani un modo per leggere diverso da quello delle parole stampate. Una capacità di mischiare le carte, ovvero di montare rimontare le immagini in maniera giocosa in cui il senso aderisce al bisogno e l’immaginario diviene forma esplicita di un desidero fino a poco prima inespresso. Nell’epoca del dominio dell’immateriale che precede il pensiero stesso ormai affidato a un’AI ancora lontana da essere per davvero rivelata, la macchina assume la forma di un oggetto astratto. Una visione inconscia resa su carta millimetrata. Difficile fermare lo sguardo, le opere si rincorrono davanti agli occhi realizzando un automatico montaggio e rimontaggio mentale. La macchina diviene un gioco luminoso, sorprendente e colorato.

Opere che divengono i prodromi di Bonvini stesso, luogo storico di un fare pratico, di una traduzione obbligata dal pensiero all’oggetto attraverso la tecnologia tipografica e ora invece liberato da ogni incombenza e divenuto puro spazio aperto. Luogo di vagheggio e riflessione insieme dove ogni moralismo decade là dove ogni necessità è persa se non quella di un senso che richiede un urgente ritrovamento. Ed è in questo fare tutto manuale e figlio di un pensiero che viene dalla forma che fu della macchina che indaga Pietro Corraini con la leggerezza di un sogno e di una possibilità, ma senza l’invadenza di un imperativo che porti con sé parole assurde di egemonia come di controllo. Il pensiero culturale qui vive grazie alla leggerezza dell’intuito, merito di Corraini e di chi come Bonvini lo ha accolto. 

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